Speravo de morì prima è divertente, onesta con sé stessa e con gli spettatori

Su Speravo de morì prima si è detto peste e corna, ovviamente senza averne visto mezza puntata. Intendiamoci, i trailer facevano presagire il peggio persino a chi (come me) è romano e romanista, la prospettiva di vedere in una nuova salsa la lite tra Totti e Spalletti non era tra le più allettanti, e per di più quella di Totti non era una storia facilmente romanzabile.

La ricetta per un disastro, su cui era legittimo avere forti dubbi e paure, ma su cui era anche sbagliato esprimere giudizi definitivi prima di vederne effettivamente il risultato, facendone un processo alle intenzioni. E invece Speravo de morì prima è una serie incredibilmente intelligente. Incredibile quante cose si scoprano quando le cose si vedono effettivamente senza fermarsi agli spot.

Intelligente perché è perfettamente conscia dei suoi limiti narrativi (che ho citato prima), e che quindi fa la cosa più giusta: buttarla a ridere senza prendersi troppo sul serio, pur rispettando la sua storia senza mai diventare una baracconata.

La serie non è trash come i più catastrofisti potevano pensare, anzi, è la cosa più opposta che possa esserci al trash. Trash è quello che fa ridere nell’essere involontariamente ridicolo, cosa che Speravo de morì non è: il suo scopo è esattamente far ridere, non prendersi mai sul serio, e avere comunque abbastanza amor proprio da non esagerare e diventare fine a sé stesso. E se una cosa parte da questo presupposto non può essere mai trash (o cringe, per usare un termine che disprezzo con tutto me stesso) per definizione.

Intelligente e consapevole

La serie ha una forte – e voluta – componente surreale, come fosse il folklore romano a narrare la storia piuttosto che Totti in persona, rappresentando la sua storia in modo magari un po’ volutamente ingenuo, ma sincero e con un enorme dose di auto-ironia, cosa che Totti per fortuna ha sempre avuto, e di cui i calciatori odierni sembrano essere sprovvisti da fin troppo tempo (quanti calciatori pensate che oggi si presterebbero alle mitiche vignette “Tutte le barzellette su Totti” come fece l’ex Pupone, magari facendosi anche qualche risata? Scommetto ben pochi).

La serie può non piacere e si può anche odiare, ma merita di essere comunque valutata per quello che vuole essere, e non con gli stessi occhi con cui si valuterebbe Breaking Bad, perché fare il contrario vorrebbe dire avere una certa disonestà intellettuale, oltre che una ferrea prevenzione.

Ci sono momenti goffi? Certo, ma non tanto diversi da quelli di una qualsiasi altra serie leggera italiana. Perché questo è: una serie leggera, simpatica, onesta con sé stessa e con gli spettatori, che non può essere valutata con severità perché non se lo merita, e perché non vuole mai passare per quello che non è. Inoltre i suoi momenti seri/strappalacrime li azzecca anche, ha qualche intuizione geniale (Cassano che appare come coscienza/amico immaginario è un oggettivo tocco di classe) e, come se non bastasse, ha anche un ottimo livello di recitazione. Che si vuole di più?

Perché si, un’ottima recitazione non si trova solo nella cronologia degli Academy Award, ma anche in una serie su Totti, perché di qualità al cinema (o di serie TV in questo caso) non ne esiste un solo tipo.

Recitare per definizione è fingere di essere qualcun altro, che si tratti di Don Vito Corleone, di Hannibal Lecter, o di Totti e Ilary Blasi, e in questo caso sia Pietro Castellitto che Greta Scarano (ma anche Gianmarco Tognazzi) hanno fatto un lavorone, talmente accurato da non far percepire la differenza coi Totti, Ilary, e Spalletti originali (chiudendo gli occhi ovviamente, Castellitto ha una fisionomia troppo diversa dall’ex capitano), replicando parlata e atteggiamenti a loro modo iconici, soprattutto qui a Roma che viviamo il mito della figura di Totti da quasi 30 anni, con l’ulteriore difficoltà di doversi confrontare con caratteristiche di personaggi ancora così freschi e quotidiani.

Può non piacere? Naturalmente.

E forse il suo più grande problema è proprio quello: essere uscito in un momento storico ancora troppo vicino agli eventi narrati, con conseguenti facili paragoni, soprattutto per quanto riguarda i – molto discutibili –  casting (tolti Totti e De Rossi, tutti i calciatori della Roma rappresentati nella serie giocano ancora, e nessuno di loro somiglia minimamente agli attori della serie), che rendono l’intera operazione più facilmente soggetta a critiche preventive, soprattutto per il suo personale approccio scelto (quello del poco realismo e del tanto folklore), solitamente più “accettato” nelle trasposizioni fatte a svariati anni di distanza dagli eventi scelti, quando la fredda cronaca fa posto posto alle – inevitabili – mitizzazioni.

Anche per quanto riguarda la lite Totti – Spalletti, Speravo de morì prima ha un tono talmente surreale da non porsi mai, neanche per un secondo, come un racconto depositario della verità, reinterpretando la storia di Totti per narrarla a chi non l’ha vissuta sulla propria pelle di tifoso (anche per renderla più “vendibile” ai non romani), dando un ritratto di Roma e della Roma macchiettistico ma mai sminuente verso nessuno.

Dopotutto anche l’apparizione del vero Totti nell’ultima puntata (molto emozionante e gestita in maniera impeccabile) è un’ulteriore testimonianza che a volere un approccio auto-ironico fosse lui in primis, e che a prendere troppo sul serio (anche con inutile e populistica cattiveria) le intenzioni di Speravo de morì prima fossero più gli spettatori che la serie in sé, sempre perfettamente consapevole e mai disonesta, al contrario di molte critiche prevenute.

Ma dopotutto, quando si parla di calcio il lato più populistico del nostro Paese è sempre destinato a venire fuori. Speriamo che almeno con l’imminente serie Netflix su Baggio si avrà il disturbo di guardarlo prima di sentenziare.

PS: datemi lo spin off su Cassano, grazie.

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