Reservation Dogs: alienazione e turbe giovanili nella serie prodotta da Taika Waititi

Guardando Reservation Dogs si capisce subito che c’è qualcosa di diverso dal solito. La trama è molto semplice: un gruppo di ragazzi nativi americani passano le loro giornate pianificando una fuga dalla loro isolata riserva verso una grande metropoli ricca di occasioni, opportunità e soprattutto priva di noia.

Ma cosa la rende una serie diversa dal solito? La sua sincerità.

Sì, Reservation Dogs è una serie tanto semplice quanto sincera, un urlo frustrato di ragazzi di periferia che si raccontano facendo niente. Nelle campagne dell’Oklahoma, infatti, non c’è niente da fare, o meglio non c’è niente di interessante da fare e quello che c’è da fare è terribilmente noioso… La noia porta alla frustrazione e la frustrazione porta ogni personaggio ad affrontare la propria vita in un modo profondamente diverso…

 Non a caso il sottotitolo di questa recensione cita il disco più sincero (e bello) del rap italiano. Turbe Giovanili e Reservatioin Dogs sono urlo di stizza della “periferia”, la scintilla che ha acceso Fabri Fibra e che lo ha costretto a emergere da Senigallia è la stessa che mette in moto i protagonisti di questa storia.

I personaggi principali e secondari sono vivi e perfettamente caratterizzati, tutti immersi in quel contesto che è la vita ai margini di una comunità nativo americana. Sono abbastanza sicuro che la sceneggiatura presenti chiari tratti autobiografici e/o di ispirazione reale. La serie, infatti, è il prodotto di un inedito collettivo composto interamente da indigeni americani fatta eccezione per Taika Waititi (indigeno australiano) che co-crea la serie, scrive il primo episodio e poi si leva di torno, lasciando in eredità una linea comica che i successivi autori intersecano con il drammatico stile di vita dei protagonisti.

La scrittura dissacra e riflette sugli stereotipi cuciti addosso all’ “Indiano”, e il cast giovanissimo riesce a trasmettere in modo convincente il pensiero degli autori reggendo sulle proprie spalle l’intera serie. Difatti, nonostante l’ottima scrittura e le ottime interpretazioni, la serie è carente da un punto di vista registico e fotografico, senza andare mai al di sopra dello standard. Una regia di mestiere che non buca mai lo schermo… e forse va bene così, perché in fondo non è necessario. Spettacolarizzare quel tipo di ambiente andrebbe poi contro la percezione che i protagonisti hanno del mondo introno a loro. Si mentirebbe in funzione di una tendenza che ormai invade l’estetica di molte serie televisive, rendendo appetibili anche cose che non dovrebbero esserlo.

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