Piuttosto che vedere il film di Satanik rileggete i fumetti

L’uscita del Diabolik dei Manetti Bros. sarebbe ancora prevista per capodanno, e benché la situazione cinema sia ben nota non è arrivata ancora nessuna smentita. Non sappiamo quando effettivamente uscirà, ma nell’attesa abbiamo deciso di ripercorrere la storia del mai abbastanza ricordato “cinefumetto” italiano. Un cinema figlio di anni in cui ai produttori, incredibilmente, l’idea di portare sullo schermo le icone del fumetto tricolore non sembrava poi così assurda.

Le puntate precedenti:

  1. Il signor Bonaventura (1941)
  2. Kriminal (1966)

Terza puntata: Satanik (1968)

Satanik rappresenta una delle creature più innovative della storia del fumetto italiano e mondiale: creata nel Dicembre del 1964 dal dinamico duo Max Bunker e Magnus, appena 4 mesi dopo aver già creato Kriminal. La storia di Satanik va divisa in due parti: i primissimi numeri, dove le storie sono più vicine ai classici schemi del fumetto nero italiano dell’epoca, che i due già contribuirono a far sviluppare grazie a Kriminal, e una seconda più casta e vittima di forzata auto-censura.

Un po’ Cenerentola e un po’ Jekill e Hyde, Satanik è in realtà Marny Bannister, scienziata che proprio come Cenerentola vive con delle perfide sorelle, e che dimostra molto più della sua età a causa di un angioma che ne sfigura il volto, motivo per cui è oggetto di derisioni continue. Da brava scienziata, la futura Satanik riesce a creare in laboratorio una pozione per trasformarsi in una coniglietta di Playboy, e inizierà a usare il suo nuovo aspetto per vendicarsi (in modo anche decisamente crudele) di tutto il mondo che l’aveva derisa.

Pur partendo da presupposti di riscatto sociale, Satanik non prova empatia per (quasi) nessuno, e ogni mezzo è lecito per arrivare ai suoi scopi, incluso l’omicidio e – soprattutto – la seduzione. Proprio quest’ultimo punto creò a Satanik ancora più problemi di Kriminal o Diabolik, visto che le sue storie contenevano una componente erotica molto più spinta dei suoi “colleghi” maschili, “ancora fermo alle gambe delle ballerine”, come disse Magnus.

Le storie di Satanik erano piene di scene in lingerie, mutandine, reggiseni, nudi (anche se mai espliciti, mostrarli significava andare in galera), scene di sesso e più in generale riferimenti sessuali a non finire, gettando le basi per la futura concezione di fumetto erotico, già esistente ma ai tempi considerato alla stregua del porno piuttosto che un prodotto softcore. Dopotutto, se il format tipico del fumetto nero italiano, tascabile e con non più di due vignette a pagina, era concepito per essere letto velocemente, e magari anche nascosto facilmente in tasca, un motivo c’era.

Altro che #metoo

Col tempo le storie avranno una componente sempre più orririfica e sovrannaturale, basti pensare che Satanik si scontrerà anche contro una schiera di vampiri comandati dal barone Wurdalak, personaggio che Bunker e Magnus ricicleranno qualche anno dopo in salsa comedy su Alan Ford. L’avvento del surreale porterà poi Bunker e Magnus a rendere Satanik una strega, soprattutto per poter legittimare la figura di una spietata donna mangia-uomini senza incappare in altre polemiche con l’opinione pubblica.

Satanik fu infatti la prima donna protagonista di un fumetto italiano, e la prima in assoluto a portare davvero la femminilità nel mondo dei fumetti: se negli USA le supereroine tendevano ad esaltare la loro emancipazione semplicemente riproponendo al femminile caratteristiche maschili, con poteri come le super-forza, super-agilità, ecc., Satanik fu la prima a prendere le tipiche caratteristiche delle donne della narrativa dell’epoca, ossia le seduzione e l’aspetto fisico, e a renderle un’arma letale invece che una debolezza utile solo al piacere degli uomini.

Nella narrativa dell’epoca il sesso vedeva sempre le donne come vittime del piacere dell’uomo e mai il contrario, se non per la figura della femme fatale, con la differenza che stavolta era la femme fatale stessa a prendere le redini della storia.

Satanik anticipò a suo modo il femminismo del Sessantotto, racchiudendo in sé – in modo ovviamente esasperato – le paure degli uomini di fronte ad un’eventuale emancipazione femminile, quelle di una donna dominatrice che sapesse sfruttare tutte le debolezze maschili, incluso il sesso, per arrivare ai suoi scopi senza il minimo scrupolo. O almeno fu così agli inizi. La “seconda parte” della storia di Satanik che accennavo prima vide Bunker e Magnus costretti a dosare le provocazioni a causa delle infinite denunce al pudore per le storie di Satanik, e col passare dei numeri si videro costretti a trasformarla in un anti-eroina che non disdegnava qualche collaborazione con l’ispettore Trent, che da sempre stava a Satanik come Ginko a Diabolik o Milton a Kriminal.

Satanik riuscì a finire in tribunale persino più di Kriminal, e non senza motivo, basta leggere qualche storia per rendersi conto di quanto fosse ancora più violento e persino splatter, così tanto da sfociare spesso nel grottesco, che sarà sempre una caratteristica di Bunker e Magnus, e che troverà la consacrazione definitiva con Alan Ford.

Ma passiamo al film

Uscito nel 1968 pochi mesi dopo il Diabolik di Mario Bava, il film di Satanik col fumetto c’entra meno di zero.

Satanik ha molte similitudini coi due film di Kriminal usciti negli anni precedenti: entrambi co-produzioni italospagnole, entrambe con le bellissime musiche di Romano Mussolini (figlio di Benito), che con il tema di Satanik anticiperà di 8 anni il tema delle Charlie’s Angels (sul serio, il motivetto è praticamente lo stesso), e un’assoluta mancanza di fedeltà al fumetto, con la differenza che il film di Kriminal se l’era cavata con un poliziesco dalle influenze bondiane che poteva risultare gradevole, per quanto distante dai fumetti, al contrario di Satanik che se la cava con un film nullo e che non ha motivo di venir ricordato.

Le colpe non erano da imputare solo alla produzione: i fumetti neri avevano temi già troppo espliciti per i fumetti, figuriamoci quello che avrebbero potuto incontrare con un mezzo più pop come il cinema, e Satanik cadde vittima della stessa problematica di Kriminal, ossia dell’impossibilità a portare sul grande schermo tutto quello che aveva reso il fumetto innovativo.

Anche la scelta di Magda Konopka per interpretare Satanik non è proprio il massimo per quello che il personaggio dovrebbe rappresentare: la Konopka ha un volto ovviamente bellissimo come dovrebbe essere, ma completamente privo dell’aggressività che Satanik deve comunicare oltre all’essere un bel faccino.

Ma in un film dove tutta questa componente è assente anche in fase di scrittura, è una falla persino coerente col tono innocuo del film. Tra l’altro come assistente alla regia Satanik si ritrovò un giovanissimo Pupi Avati, che dopo aver visto il lavoro del regista Piero Vivarelli, capì come non andava girato un film. Tra l’altro, dopo aver vissuto una vita di contraddizioni (fu militante del Partito Comunista Italiano e ricevette – unico italiano nella storia – da Fidel Castro la tessera del Partito Comunista Cubano nonostante avesse aderito volontariamente alla Repubblica di Salò), Vivarelli aveva già diretto un cinefumetto italiano l’anno prima, Mister X, tratto da un altro fumetto nero italiano di minor rilevanza.

Se a tutto questo sia aggiunge il non favorevole contesto storico, con i registi – e non solo – che tendevano ancora a prendere poco sul serio i fumetti trovandoli poco più che letture per ragazzini (nonostante i fumetti neri fossero esplicitamente per adulti) negli USA, figuriamoci in Italia, dove tutt’oggi stentiamo a valorizzare le nostre icone pop amate in tutto il mondo per quella fastidiosa tendenza tutta italiana a demolire quanto c’è di buono in casa propria vedendo l’erba del vicino sempre più verde; e il fatto che un’icona conosciuta in tutto il mondo come Diabolik abbia dovuto aspettare 52 ANNI (!) per poter riapparire al cinema la dice lunga su quanti chilometri debba ancora macinare l’industria cinematografica italiana.

L’Italia deve credere di più nelle sua icone pop

Non a caso Max Bunker spese sempre parole molto critiche per i due adattamenti, definendo la concessione dei diritti di Kriminal e Satanik “un errore che non rifarò mai più”, senza mai più dare veti per le trasposizioni delle sue creature, come per Alan Ford, stroncando sul nascere qualsiasi tentativo, come quello della recente proposta di Fabio De Luigi. E meno male.

Intendiamoci, a me De Luigi piace e sta anche simpatico, ma Alan Ford è un fumetto pressoché impossibile da rendere live action, dunque per apprezzarlo limitiamoci a rileggerlo più che possiamo. Gli anni ’60 erano troppo poco maturi per portare al cinema personaggi come Kriminal e Satanik (la cosa triste è che, come dicevo prima, il cinema italiano è ancora talmente chiuso di mente che persino oggi nel 2020 non si potrebbero definire “maturi”). Qual era dunque all’epoca la soluzione per fare dei film fatti come si deve di Kriminal e Satanik? La risposta è semplice quanto brutale: non farli affatto.

Come Max Bunker stesso ha sottolineato di recente, l’unico modo per garantire giustizia ai personaggi dei fumetti è con investimenti massicci, con progetti che credano davvero nei personaggi, o almeno abbastanza da avere budget sostanziosi… tutti criteri in cui Satanik non poteva rientrare all’epoca per mille motivi.

E chissà se l’uscita (e una buona riuscita) dell’imminente Diabolik dei Manetti non possa sbloccare l questi benedetti grandi investimenti e ricordare all’Italia quanto la propria storia fumettistica sia invidiabile e meritevole di trasposizioni all’altezza, magari anche con delle serie TV, molto meno vittime di pressioni creative e censure dai sempre più asfissianti produttori, soprattutto ora che colossi come Netflix e Prime hanno iniziato a finanziare progetti all’estero. Nell’attesa di qualche nuova – e si spera degna – trasposizione, resta solo da rileggere le vecchie storie originali. Che in fin dei conti sarà sempre il metodo migliore per capire la vera portata di un fumetto, con buona pace di tutte le buone intenzioni cinematografiche.

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