Mollate qualsiasi altra serie e iniziate Cobra Kai
Cobra Kai poteva essere l’operazione nostalgia più pigra del mondo, ed è invece diventata la serie del decennio. L’incipit “il calcio del primo film era illegale” negli ultimi anni era diventato praticamente l’Han shot first di Karate Kid, poi è arrivata la celebre gag di Johnny Lawrence/buono- Daniel LaRusso/cattivo di How I met your mother, una generale nostalgia anni ’80 che ha fatto riesumare qualsiasi cult, Will Smith che voleva redimere i peccati del figlio sul remake del 2010 diventando produttore esecutivo di un Karate Kid valido, e la pappa era servita: di tutti i grandi cult degli anni ’80, mancava solo Karate Kid all’appello (perché grazie a Dio Zemeckis i diritti di Ritorno al futuro non li cede manco sotto tortura), con la differenza che Cobra Kai di tutti i revival anni ’80 è senza subbio il migliore insieme a Blade Runner 2049 e Creed, l’unico che proprio come loro ha davvero una storia da raccontare, senza mai essere un’operazione di solo puro fan service. Ha ovviamente i suoi momenti di fan service fatti per far urlare dalla gioia noi fan hardcore di Karate Kid, ma può benissimo permetterselo, perché Cobra Kai non campa solo di rendita dei film originali.

Cobra Kai ha una sua identità, una sua personalissima storia, un suo personale messaggio, dei personaggi costruiti tutti da sé – Johnny Lawrence stesso, che nel primo Karate Kid era il generico bullo dei film per ragazzi degli anni ’80 – e ha più in generale un suo stile definito, con molta più azione e commedia di quanto ce ne fossero nei film originali, nonostante gli omaggi agli anni ’80 non manchino sia nei modi più espliciti (Johnny Lawrence che ricorda il passato in macchina come fosse un videoclip è una palese citazione a Stallone con No easy way out di Rocky IV) sia nella sostanza, come nel folle gran finale della seconda stagione: una pazzia tale da poter stonare rispetto al resto del tono della serie, ma talmente fuori di testa e disposta a prendersi dei rischi nella sua follia da essere già un amabile instant classic, perché questo erano gli anni ’80, e per questo oggi li amiamo alla follia e sembrano irripetibili anche a noi che non li abbiamo vissuti… perché non avevano paura a rischiare e sperimentare anche costo di risultare goffi o addirittura ridicoli, ben lontani dall’ossessiva ricerca della sobrietà e del realismo attuale, che spesso smorza sul nascere qualsiasi slancio creativo che tenti di fare qualcosa di diverso.
E che dire di William Zabka, il vero fuoriclasse della serie, che sfodera un carisma mostruoso e una verve comica che non ci si aspetterebbe mai da uno che non è mai stato protagonista di produzioni ad alto livello? O della sua chimica con Ralph Macchio, con cui urgerebbe al più presto una sit-com soltanto loro due, senza dojo e sottotrame varie, come fossero dei moderni Stanlio e Ollio.
Cobra Kai è il dito medio che “Ok boomer” meritava
Il vero tema centrale di Cobra Kai – come di Karate Kid – è l’equilibrio, l’equilibrio che tanto manca (anche) al mondo dell’intrattenimento moderno nei giudizi. Ormai siamo bombardati ogni giorno di polemiche perbeniste figlie di un politicamente corretto che ci è esploso tra le mani, così tanto da banalizzare gli effettivi progressi che la nostra società dovrebbe inseguire che persino chi non ci vedeva un autentico pericolo, ma un occasione di crescita, si è dovuto pian pian ricredere (basti vedere il recentissimo caso delle critiche a Gal Gadot per Cleopatra, perculate alla perfezione da Cobra Kai con le accuse di “appropriazione culturale” per gli spot del Miyagi-Do su Youtube).
Il “vecchio mondo” rappresentato dalla rozzezza machista di Johnny Lawrence e il “nuovo mondo” rappresentato dall’ipersensibilità di Miguel non vengono rappresentati come il “mondo giusto” e il “mondo sbagliato”: sono entrambi allievi l’uno dell’altro (mamma mia, solo ‘sta serie capolavoro poteva farmi scrivere certe frasi senza farmi sentire retorico), perché l’iper-aggressività del Cobra Kai rende infelici sé stessi, gli altri, e reprime ogni progresso, ma l’iper-sensibilità delle nuove generazioni rappresentate da Miguel & co. sono una camicia di forza che spoglia le persone dell’aggressività necessaria per farsi valere e sapersi difendere.

Nessuno dei due ha ragione o torto, nessuna delle due generazioni viene giudicata come quella “giusta”, perché è solo influenzandosi a vicenda che riescono a migliorare le loro vite, con Johnny Lawrence che riesce a rimettere insieme i pezzi della sua vita smettendo di essere in guerra col mondo e Miguel che trova sicurezza in sé stesso. L’esatto opposto di Hawk e Demetri, che al contrario di Miguel e Johnny sono coetanei, ma ancor più estremi nei due approcci, mostrando quanto non tentare di avvicinarsi al punto di vista opposto sia solo dannoso.
Ma soprattutto, l’intero conflitto generazionale funziona perché è gestito con un’enorme dose di auto-ironia per entrambe le parti, altra parola sempre più sconosciuta in un mondo che ormai si prende continuamente troppo sul serio. Come dice Johnny Lawrence ai suoi studenti nella 2×8 “Tra il bianco e il nero ci sono varie sfumature di grigio. Ed è lì che si piazzerà il nuovo Cobra Kai di Johnny Lawrence”, e speriamo che ci si piazzi anche Hollywood, e non solo, anche se ho i miei dubbi.

Cobra Kai è un confronto generazionale, il più intelligente che sia mai stato scritto riguardo il tanto discusso gap tra i millennial/gen Z e i vari boomer/generazione X. Non una guerra tra la generazione prescelta e quella di cui vergognarsi, ma un confronto, quello che i vari “Ok boomer” hanno ammazzato sul nascere anteponendo la frase ad effetto al trovare un punto d’incontro.
Ha l’intelligenza di non pretendere di voler rappresentare in modo ossessivo le nuove generazioni, cosa che mezza Hollywood ricerca in modo ossessivo e anche un po’ morboso (Spider- Man:Homecoming, sto guardando te) dimenticandosi che gli anni passano, che noi millennial abbiamo ormai sorpassato i 20 anni, e che a breve i gen-z faranno lo stesso, e che quindi non ha senso essere ossessionati dalle nuove tendenze che sono inevitabilmente destinate a cambiare.

A Cobra Kai al contrario non interessa dare un ritratto fedele, ma quello che più può funzionare: molti dei nerd della serie sono fermi all’immaginario degli anni ’80, ma chissenefrega… funzionano, dunque che sia realistico o meno importa davvero a qualcuno? Pensiamo agli adolescenti più famosi del cinema: Marty McFly ha bisogno di essere modernizzato per essere “capito” dalla Generazione Z? Anche Harry Potter? O sarebbe “incompatibile” con i nuovi giovani? No, perché l’unica cosa destinata a durare e non invecchiare mai sono i personaggi atemporali, e proprio questo è il motivo per cui, senza neanche volerlo essere, Cobra Kai è il miglior ritratto adolescenziale dai tempi di Freaks and Geeks. O di Skam qui in Italia. Non scherzo.