Midnight Mass, una serie horror quasi perfetta
Due anni fa usciva nelle sale di tutto il mondo Doctor Sleep, sequel dello Shining di Stanley Kubrick. Ne scrissi (l’articolo qui) con una certa sufficienza, o almeno concentrandomi più su cosa non andava piuttosto che sui suoi punti di forza. Che c’erano! Lo dimostra il fatto che a distanza di due anni – senza mai averlo rivisto – mi tornino in mente delle scene, o in generale una certa atmosfera (ed effettivamente questa cosa la menzionai).
Il regista Mike Flanagan – noto soprattutto per la serie Netflix antologica da lui curata, The Haunting – con le atmosfere è infatti bravissimo, e non ha mancato di dimostrarlo ancora.
È da poco approdata su Netflix Midnight Mass, la sua nuova miniserie in sette puntate. Gli echi kinghiani sono di nuovo evidenti, anche se non è un lavoro tratto da nessun testo del re del brivido. Impossibile comunque non pensare Le notti di Salem. Ad ogni modo non è nell’originalità delle premesse che va cercato il valore di questa sua nuova fatica, probabilmente la miglior cosa horror che vedremo quest’anno.

Nella sperduta isola di Crockett Island vive una comunità di ferventi cattolici, la cui quotidianità sta per subire un deciso scossone: sull’isola arriva infatti Padre Paul Hill (Hamish Linklater), giovane sacerdote chiamato a sostituire momentaneamente Pruitt, l’anziano prete della St. Patrick’s Church, chiesa in cui si riuniscono abitualmente quasi tutti gli abitanti. L’arrivo di Hill porterà con sé una serie di avvenimenti inspiegabili, accolti come “miracoli” dalla comunità. Peccato che sotto ci sia qualcosa di orribile, una forza malefica che mieterà diverse vittime, e dalla quale molti credenti impauriti si faranno “contagiare”.
Sfruttando appieno le possibilità date dal formato seriale, Flanagan dilata i tempi, lascia che ci immergiamo nella quotidianità dei personaggi, che ci abituiamo a loro e all’isola. La cosa gli riesce piuttosto bene fino a quando non si concede qualche caduta nel melenso, scrivendo monologhi stucchevoli per spiegare a parole il messaggio che vorrebbe far passare con la sua storia, ma questa è una fissa squisitamente americana, specie negli ultimi anni: pazienza. La gestione dei tempi rimane giustissima, soprattutto perché serve a rendere del tutto imprevedibili i colpi sferrati dall’orrore.

E se sulla gestione dell’emotività dei personaggi gli si potrebbero muovere mille appunti, su quella dell’horror c’è poco da dire: è roba da veri fuoriclasse. La mitologia messa in piedi da Flanagan per spaventare, infatti, non è mai didascalica; non ci è dato sapere quali siano le origini del sovrannaturale che domina lo schermo da un certo punto della serie in poi, e questo lo rende ancora più insostenibile e spaventoso. Anche i trucchi per farci sobbalzare sono sottili, e puntualmente efficacissimi: in particolare ci sono un paio di momenti eccezionali, semplicemente impossibili da prevedere, e che fanno gelare il sangue sia come idea che come esecuzione. Quando poi fa montare il pathos – o quando vuole inquietare profondamente – non fa mezza mossa di troppo, è semplicemente perfetto.
Al momento non riesco a pensare a un autore americano contemporaneo che riesca a fondere meglio l’eleganza della messa in scena – perché Midnight Mass visivamente è bello davvero – all’efficacia dei momenti di terrore: una confezione curata, avvolgente ma mai fighetta come impongono i nostri tempi a un prodotto horror che voglia distinguersi, e una bravura non comune nell’inquietare.

Nel mainstream si cercano infatti o il prodotto horror senz’arte né parte (Annabelle et simili) o quello ostentatamente artsy (A24), quindi ben venga chi ama la bellezza delle immagini senza sentire il bisogno di ammiccare. Giusto in una scena troviamo inquadrature “alla Mr. Robot”, così fuori luogo (e mai più ripetute più avanti) che si stenta a credere che fossero volute da Flanagan.
Il cast è formato da volti e nomi prevalentemente “televisivi” (cioè non ho mai visto nessuno di loro altrove); tutti attori bravissimi, in parte e con volti che si ricordano. A spiccare è senza dubbio Samantha Sloyan nel ruolo della villain, all’occorrenza fastidiosa e inquietantissima, specie quando snocciola la sua conoscenza della Bibbia: una performance e un personaggio degni di rivaleggiare con quello di Marcia Gay Harden in The Mist.

Bravissima anche quella che potremmo definire la “protagonista” di questa serie corale, Kate Siegel, a cui vengono purtroppo affidati i due lunghi, estenuanti e patetici monologhi sulla morte; il neo più grosso di una serie che altrimenti ha tutto quello che un amante dell’horror possa desiderare.
Il finale ci lascia anche con emozioni contrastanti: qualcosa è fuori posto, qualcosa è troppo repentino e qualcosa è troppo zuccheroso, eppure è tutto diretto così bene che non riesce a risultare disprezzabile. E poi non ci sono dubbi sul prodotto nel suo complesso, con le sue sette fiammanti ore: straordinario.