Ma qualcuno se lo ricorda Il codice Da Vinci?

Ma qualcuno si ricorda de Il codice Da Vinci? O meglio, ma qualcuno si ricorda che cosa fu all’epoca della sua uscita Il codice Da Vinci? Ci crediate o no – e mi rivolgo alle nuovissime generazioni, ossia a chiunque abbia meno di 25 anni – quando uscì quel terrapiattista quanto godibile ibrido tra un blockbuster e un film autoriale che è Il codice Da Vinci, per quanto oggi appaia innocuo e difficile da prendere troppo sul serio, fu il più controverso, discusso, e boicottato film dell’anno, che si trascinò dietro una tale quantità di polemiche alle sue spalle come negli anni successivi non se ne vedranno più.

Forse l’ultimo caso di film-evento/catalizzatore di polemiche accostabile è stato Joker, film tutto sommato innocuo e tutt’altro che scomodo, che si è abilmente cucito addosso lo stampino di “film controverso” un po’ per marketing, e un po’ perché viviamo in tempi in cui ci piace polemizzare sul nulla e sentirci offesi a tutti i costi.

Oggi non si può scherzare su nulla, tranne che sulla religione. Al contrario, ai tempi si poteva scherzare su tutto… tranne che sulla religione! Alzate la mano: chi ricorda i preti che invitavano chiunque facesse catechismo a boicottare il film? O le polemiche sulla scena dell’autoflagellazione di Silas, a rivederla oggi anche relativamente sobria, soprattutto considerando quanto si era visto 2 anni prima con La passione di Cristo, altro film di stampo religioso tanto discusso e controverso all’epoca quanto ricordato con ilarità oggi?

Per non parlare di quando, proprio per la curiosità derivata dal gigantesco caso mediatico mondiale che tra film e libro Il codice Da Vinci si portava appresso da 3 anni, nel tentativo di andarlo a vedere il primo giorno (in contemporanea mondiale, all’epoca una rarità di cui non privilegiarono neanche gli Star Wars, gli Harry Potter, o Il Signore degli anelli, per dire), trovai il cinema completamente SOLD OUT (!).

E per la cronaca, paradossalmente ad essere attratti dal film erano tanto gli adulti quanto noi stupidi ragazzini brufolosi che andavamo alle medie, come testimonia il fatto che fu il secondo incasso più grande del 2006, facendo più dollaroni di X-Men, Casino Royale, Cars, Mission Impossible III e Superman Returns (!!!).

Pensare a un tale clamore per Il codice Da Vinci ad oggi, a 14 anni di distanza, fa venire un sorrisone più grande della Gioconda stessa. Altri, meravigliosi, tempi…

I tempi in cui per andare all’inferno bastava vedere Tom Hanks parlare male di Gesù

Dopotutto, nonostante la minaccia che chiunque avesse visto il film sarebbe finito all’Inferno, come poteva non attirare l’attenzione un’operazione del genere? Il libro che tutti i nostri genitori si passavano di mano (che poi era il motivo per cui lo conoscevamo tutti) e che ridendo e scherzando fu il più grande caso letterario del 2000 dopo Harry Potter, Ron Howard che dopo anni di gavetta si era costruito la fama di regista acchiappa-Oscar, Magneto e Doc Ock nello stesso film, Jean Reno che mena la gente, sceneggiatura nientepopodimenoché del premio Oscar Akiva Goldsman (sceneggiatore, ricordiamolo, del nostro amato Batman & Robin) e Tom Hanks che dopo ani di cinema impegnato decide finalmente di staccare la spina, mordersi la lingua e, perché no, comprarsi una villa più grossa con l’ingaggio per il film più grosso dell’anno.

Praticamente è come se oggi assoldassero Sam Mendes, Joaquin Phoenix, Michael Caine e Chris Terrio per un film su come il Covid sia stato inventato dalle case farmaceutiche spacciandola per verità incontrovertibile… come fareste a non precipitarvi al cinema?

Nella mia testa l’associazione “Tom Hanks-cinema impegnato” morirà definitivamente qualche mese dopo, sempre nel 2006, a causa di uno dei primissimi video di Youtube chiamato “Tom Hanks is James Bond”, un divertente montaggio dei film più pazzi di Hanks pre-Philadelphia. Guardatelo: non crederete mai che si tratta dello stesso uomo farà piangere l’America con Forrest Gump.

Rivisto oggi Il codice Da Vinci è un una versione più dark de Il mistero dei Templari con Nicolas Cage misto a un videogioco, una caccia al tesoro di 2 ore e 20 formato blockbuster dove ad ogni checkpoint si vince un indizio, o uno spiegone di Tom Hanks, o un nuovo superpotere appena sbloccato dallo stesso Hanks come lo sguardo risolvi-anagrammi e la materializzazione di ologrammi.

Un videogioco dove l’obiettivo è sbloccare segreti e scappare dal Capitano Fache, pronunciato in francese fasc, perché in effetti i metodi da poliziotto fascio un po’ ce li ha, essenzialmente perché ogni film dell’epoca che trasudasse un po’ di Francia doveva avere Jean Reno o Vincent Cassel nel cast (anzi, è pure strano che a Cassel non abbiano dato il ruolo del killer albino).

A posteriori potrebbe sembrare un gigantesco bluff, ma la verità è che probabilmente la voglia di essere preso sul serio de Il codice Da Vinci sia stata dettata dalla sua uscita, in pieno boom di un libro che si era costruito la fama di “romanzo scomodo”, e in un momento storico dove ironizzare o mettere in discussione la religione era meno assodato e tollerato, e che in un altro momento avrebbe invece abbracciato appieno la sua anima di blockbuster.

Che è poi quello che farà solo 3 anni dopo Angeli e demoni, stavolta senza equiparabili polemiche del mondo religioso a replicare il caso mediatico, sentendosi più “libero” di fare come vuole e di non dover risultare a tutti i costi come un film “rivelatore”. A onor di vero, Angeli e demoni sarà aiutato anche da una maggior auto- ironia, che ne salvaguarderà molto il giudizio ad anni di distanza, libero di essere “solo” la trasposizione di un libro prima ancora che un serissimo evento mediatico che non poteva permettersi di essere auto-ironico anche per questioni di marketing.

E sarà aiutato anche da un plot più propenso al blockbuster puro, con una caccia al tesoro sempre al centro di tutto, ma in salsa più action, con tanto di Ewan McGregor che si paracaduta dopo aver fatto esplodere una bomba di antimateria sopra San Pietro(!), di gran lunga più caciarone a confronto con l’unica scena action de Il codice Da Vinci, ossia un inseguimento di 20 secondi a marcia indietro in Smart (!!!) girato giusto perché serviva una scena epica per il trailer.

Ci credereste mai che nel film la frase “Questo è quello che vogliono farci credere” è pronunciata UNA sola volta?

In effetti a rivederlo oggi Il codice Da Vinci non è nient’altro che un Indiana Jones sprovvisto di location esotiche, di autoironia, di azione e di Spielberg. Non cito Indy a caso, visto che Dan Brown per la creazione di Robert Langdon ha sempre ammesso di essersi ispirato a Harrison Ford, il che mi porta a pensare sempre di più che il primo a non voler prendere troppo sul serio i temi de Il codice Da Vinci sia proprio Brown stesso.

Ma la verità è che a Il codice Da Vinci si vuole incondizionatamente bene proprio per quello, per la sua ingenuità nel volersi prendere sul serio, e per la sua costante indecisione sul cosa voglia essere, se un blockbuster o un film (molto) semi-autoriale. Diciamo che sparare critiche a raffica sarebbe facilone come picchiare un bambino nel sonno.

Il film è divertente, parliamoci chiaro, e se visto unicamente come blockbuster scorre via tranquillamente nonostante i tanti inevitabili spiegoni, e suscita persino un certo fascino se visto unicamente per quello che in realtà è sempre stato, ma che all’epoca non riuscivamo a vedere, trovando una sua personalità ben definita persino nella sua goffagine.

A rivederlo oggi è un film che nel suo complottismo e profetizzare presunte verità nascoste genera simpatia, soprattutto per chi all’epoca fu catturato dal film e dal suo immaginario come me, che lessi persino il libro per l’hype.

Perché tutto questo culto per un film del genere? Mah, una serie di fattori: un po’ perché avevo 11 anni, un po’ perché non sono mai stato credente e quindi le polemiche mi toccavano zero, un po’ perché negli anni precedenti agli occhi del mio io 11enne la Francia si era un distaccata dall’immagine intellettuale che si era costruita per i più con la Nouvelle Vague, pur essendo di 30 anni prima, producendo i film europei più costosi e ambiziosi dell’epoca, mettendo a disposizione grandi mezzi per progetti atti a valorizzare le loro icone pop al cinema come solo Hollywood aveva fatto, attirandosi persino l’interesse di chi come me era un bambino, come il film di Belfagor, Arsenio Lupin, Michel Vaillant, Asterix – tra parentesi, il primo è un capolavoro -, o Vidocq, diretto da Pitof (che dopo questo film inaugurerà la fase hollywoodiana della sua carriera con l’invidiabile Catwoman con Halle Berry sul curriculum), fino a passare per film comunque di enorme risalto internazionale come Il patto dei lupi, Amelie, L’odio, e I fiumi di porpora.

Perché la Francia di inizio anni 2000 investì più soldi che mai sul cinema nazionale? Chissà, sarà stata la doppietta Mondiale 1998/Europeo 2000 della Francia di Zidane a rilanciare il patriottismo dei nostri cugini transalpini, fatto sta che la Francia al cinema non era più baguette, baffetti, e Napoleone, ma un nuovo attrattivo palcoscenico per il cinema internazionale soprattutto per chi, come me, all’epoca era un ragazzino. Tutto questo unito al fatto che visitai Parigi con mio padre l’anno prima de Il codice Da Vinci, il che alimentò molto la mia fascinazione per la capitale francese.

In più, vedere Il codice Da Vinci con tutto il clamore mediatico intorno in tempi in cui scherzare sulla religione non era ancora cosi “accettato” ti faceva sentire un po’ ribelle e conoscitore delle verità storiche che LA CHIESA CI VUOLE NASCONDERE. Ma soprattutto, di nuovo, perché avevo 11 anni.

Motivo per cui, per quanto oggettivamente goffo e ingenuotto, Il codice Da Vinci sarà sempre un film meritevole di un altra visione. Sia mai che zitto zitto avesse avuto ragione su tutto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *