L’italianissimo Diabolik di Mario Bava ha inventato il cinecomic moderno
L’uscita del Diabolik dei Manetti Bros. sarebbe ancora prevista per capodanno, e benché la situazione cinema sia ben nota non è arrivata ancora nessuna smentita. Non sappiamo quando effettivamente uscirà, ma nell’attesa abbiamo deciso di ripercorrere la storia del mai abbastanza ricordato “cinefumetto” italiano. Un cinema figlio di anni in cui ai produttori, incredibilmente, l’idea di portare sullo schermo le icone del fumetto tricolore non sembrava poi così assurda.
Le puntate precedenti:
- Il signor Bonaventura (1941)
- Kriminal (1966)
- Satanik (1968)
Quarta puntata: Diabolik (1968)
Oggi è il turno del film di gran lunga più importante del filone: il Diabolik di Mario Bava, noto all’estero con il simpatico titolo Danger: Diabolik.

Più importante non solo perché portava sullo schermo l’icona per eccellenza del fumetto nero italiano – filone che destò scalpore nello Stivale per i suoi contenuti piuttosto forti per l’epoca, ne parliamo anche qui – ma anche perché fu la prima di queste pellicole a offrire un’esperienza cinematografica davvero sorprendente.
Il film venne girato interamente in Italia avvalendosi di un cast internazionale: dall’americanissimo John Phillip Law nel ruolo del Re del terrore all’austriaca Marisa Mell nel ruolo di Eva Kant, passando per l’icona del cinema Michel Piccoli nel ruolo dell’ispettore Ginko per poi arrivare al leggendario, italianissimo Adolfo Celi. Nonostante sia una produzione italianissima, il suo culto è molto più vivo fuori che da noi.
In America, per dire, non sono in pochi a riconoscergli il titolo di primo vero cinecomic, e non vedo perché non dovremmo unirci anche noi al coro: Diabolik fu effettivamente il primo a crederci davvero. Un film fieramente camp, che non disdegna soluzioni sopra le righe senza per questo prendersi gioco dei suoi personaggi.

Ricordiamoci che negli States in quegli anni l’esempio più popolare di adattamento live-action era il Batman con Adam West, serie televisiva (e film) dall’estetica camp e ricercatamente “fumettosa”, ma anche dai toni platealmente auto-parodistici.
Al film di Diabolik non interessava mettere le mani avanti, “ammettere” la presunta inferiorità del suo medium di provenienza, ma trovava piuttosto nella geniale perizia di Mario Bava (che il fumetto lo rispettava) un punto di forza che lo poneva immediatamente al di sopra dei (pur gradevoli) precedenti Kriminal e Satanik, ed effettivamente scriveva – senza averne la pretesa – le regole di un buon cinecomic.
Il look che Bava riuscì a dare al film è splendido, incredibile se si pensa che il budget era piuttosto contenuto e che lui riuscì persino a non spenderlo tutto. Le scenografie, che spesso e volentieri erano vuote, venivano riempite dal regista attraverso trucchi ottici come il matte painting, tecnica di cui si fa un uso esteso anche oggi digitalmente, ma che all’epoca si otteneva dipingendo su lastre di vetro gli sfondi da apporre alla pellicola. L’effetto è clamoroso anche visto oggi:

Peraltro Bava ha la sottile trovata di utilizzare oggetti di scena – come degli scaffali, o lo specchietto retrovisore di una macchina – come stratagemmi per suggerire la presenza di “vignette” interne alla stessa inquadratura, un’alternativa più sottile rispetto agli split screen di film come Creepshow di George A. Romero o Hulk di Ang Lee.

Spettacolari anche le musiche psichedeliche di Ennio Morricone: orecchiabilissime, ipnotiche (il fuzz della chitarra nella prima traccia, Deep Deep Down, è bellissimo) e soprattutto modaiole, fiere figlie dei loro tempi. La ciliegina sulla torta di un film dalle atmosfere fortemente pop.
Diabolik però non è solo un film inventivo e stiloso: è divertente, energico, erotico (iconica la scena di sesso tra Diabolik ed Eva Kant immersi nei soldi).
Mentirei se dicessi che si tratta dell’adattamento più fedele possibile dei fumetti creati nel ’62 dalle sorelle Giussani (che rimasero deluse, a dire il vero): i suoi toni gioiosi sono distanti da quelli più noir delle pagine disegnate, certi tratti dei protagonisti vengono smorzati per andare incontro alle esigenze commerciali, ma rispetto a Kriminal e Satanik gli va anche qui di lusso: Mario Bava e suo figlio Lamberto (qua assistente alla regia) erano fan del fumetto, e nonostante le pressioni produttive fecero il possibile per far rimanere Diabolik il criminale senza scrupoli che era su carta, oltre non farci mancare dei rimandi visivi ad alcuni albi.

Certo, John Phillip Law è un Diabolik meno cattivo di quello dei fumetti, ma è comunque ottimo, con dei perfetti occhi di ghiaccio e la giusta espressività. Si pensava ad Alain Delon per il ruolo: lì ne avremmo viste delle belle, ma va bene anche così. La Eva Kent di Marisa Mell funziona anche lei benissimo e ha una chimica perfetta con Law, e questa era la cosa più importante: Diabolik ed Eva Kant dovevano essere – e sono – il cuore del film.
Se sentite che all’esperienza manca qualcosa ovviamente dovete prendervela con i produttori: i Bava volevano fare un film fedele il più possibile ai fumetti e puntare di più sulla violenza, ma Dino De Laurentiis non era d’accordo. Le scene violente comunque non mancano, ma se si conosce il personaggio effettivamente appaiono “contenute”.

Ma quel che conta è che Diabolik, partendo dai fumetti, mette su una bella esperienza cinematografica. Se si distingue è soprattutto perché il suo regista mette a frutto la sua visione unica e inconfondibile, calandoci in un mondo pittoresco, “impossibile” e davvero affascinante. Una lezione che nell’adattare delle storie disegnate verrà ripresa degnamente da Autori come Richard Donner, Tim Burton, Sam Raimi… e pochissimi altri.
Recensione “superba” di un cult “leggendario” e “intramontabile”, davvero complimenti. Il maestro Mario Bava riesce ancora oggi ad ingannare i nostri occhi, proprio come Diabolik si fa beffe della Polizia e di Ginko nel film, talvolta attraverso trucchi (non a caso) ottici. Un film dall’estetica affascinante, seducente, travolgente, accompagnato da una colonna sonora unica nel suo genere come il suo stesso compositore Ennio Morricone . Sarei curioso di sapere cosa ne pensa David Lynch di questo film( sia chiaro che è il mio regista preferito, secondo solo a Kubrick), lui che ha sempre ricercato attraverso le inquadrature dei suoi film di riprodurre “quadri in movimento”.. Qui Bava con molto poco ha ideato (per quegli anni) il perfetto connubio tra “Fumetto e Cinema”, rendendo il film di Diabolik un “quadro Pop art in movimento” con “semplice magnificenza” del suo genio “artistico-visionario”. D’accordissimo inoltre sul fatto che Mario Bava ha fatto scuola in un modo o nell’altro a registi del calibro di Donner, Burton, Raimi e ad altri, ponendo di fatto le vere e proprie basi del cinecomic moderno. E’ bello sapere che qualcun altro la pensa al mio stesso modo su questo film e sui suoi indiscutibili meriti artistici.