La notte in cui morì Gwen Stacy (e come la Marvel non imparò nulla)
Oggi nei fumetti abbiamo visto talmente tante morti che è difficile immedesimarsi in un lettore del 1973 e capire l’impatto che ebbe la morte di Gwen Stacy ai tempi, soprattutto considerando quanto la morte nei fumetti Marvel e DC abbia ormai perso ogni valore o solennità a causa di resurrezioni continue e reboot ormai ciclici, che non fanno altro che smorzare sul nascere ogni possibile shock, minare alla credibilità delle storie, e allontanare lettori da anni e anni.
Se si volesse fare un paragone altisonante, si potrebbe dire che la morte di Gwen fu per i fumetti quello che fu per il mondo reale la morte di John F. Kennedy 10 anni prima: la proverbiale “fine dell’innocenza”, un’espressione che è stata usata così tante volte da suonare abusata e banale, ma che calza alla perfezione per il contesto in cui Gwen fu uccisa. Gwen, infatti, non morì in un modo qualsiasi, ma per mano di Goblin, e che la ragazza del protagonista potesse essere uccisa, che il cattivo vincesse non la battaglia ma la guerra, e che l’eroe non salvasse la situazione ma anzi fallisse in modo irreversibile, era qualcosa di ancora inconcepibile per i fumetti dei tempi. Per la prima volta la “damigella in pericolo” non se la cavava affatto.

La storia venne disegnata da Gil Kane e John Romita, mentre la scrittura fu opera di Gerry Conway, spinto da quel pizzico di necessaria e sana incoscienza che solo un “novellino” poteva avere. Cresciuto col mito della Marvel degli anni ‘60, Conway ai tempi era l’astro nascente della Casa delle Idee: a soli 19 anni poteva già vantare nel curriculum storie scritte per Iron Man, Hulk, Devil, gli Inumani, e The Tomb of Dracula – la rivista Marvel su cui debutterà Blade – oltre che la co-creazione dell’Uomo Cosa e, da lì a pochi mesi, del Punitore.
I primissimi anni ‘70 furono anni di ricambio generazionale per la Marvel: tutti gli autori storici del decennio precedente avevano passato il testimone, mentre nel 1972 Stan Lee smise di scrivere dopo 31 anni di storie per concentrarsi sull’attività di editore, lasciando proprio al 19enne Conway l’incarico più prestigioso di tutti: essere il suo successore diretto alla scrittura di Amazing Spider-Man. Conway debuttò dal n°111, firmando però inizialmente storie non particolarmente rilevanti (se non per il debutto di Testa di Martello), complice anche una fase di stallo della testata stessa. Da un paio d’anni, infatti, Spider-Man sembrava essere arrivato a un binario morto, quasi campasse ancora di rendita dei leggendari cicli di Steve Ditko e John Romita, e si avvertiva il bisogno di uno scossone. Poi l’idea arrivo, sembra su suggerimento di John Romita stesso: uccidere un personaggio del cast principale nel n°121!

Sarebbe stato un bello shock: all’epoca, infatti, nei fumetti i personaggi non morivano, se non quelli “nati per morire” (come zio Ben, il capitano Stacy, i coniugi Wayne, ecc.) o i personaggi secondari per cui nessuno si sarebbe strappato i capelli. Inizialmente il personaggio destinato a cadere doveva essere zia May, perché secondo Romita “con zia May in vita Peter sarebbe sempre sembrato un ragazzino“. Ma zia May era anziana e costantemente malata, la sua morte sarebbe sembrata poco “sconvolgente”, senza contare che una sua uscita di scena paradossalmente avrebbe liberato Peter di un “peso”, ossia i problemi di salute di zia May e il terrore che scoprisse la sua identità. Zia May venne dunque scartata. Se Harry Osborn non poteva – ovviamente – essere ucciso da suo padre, rimanevano due indiziate: Mary Jane o Gwen, un ballottaggio su cui, per chi conosceva Conway, non ci fu mai dubbio.
Il “problema Gwen”
Prima di diventarne scrittore, Conway era un semplice giovane fan della Marvel, uno dei tanti che all’epoca si era preso una cotta per Mary Jane quando debuttò su Amazing Spider-Man nel 1966, venendo subito invischiata in un triangolo amoroso con Gwen e Peter.
Nonostante fosse chiaro a tutti che Stan Lee volesse far mettere Peter con Gwen, negli anni ‘60 i fan chiesero a gran voce di rendere Mary Jane l’interesse amoroso principale della rivista, nonostante la Marvel facesse di tutto per rendere MJ meno attraente (come ricordava Lee, “Non importava come la scrivessimo, Mary Jane ai fan sembrava sempre più interessante di Gwen”). Tra questi fan c’era appunto Conway, che stravedeva per Mary Jane e non apprezzava particolarmente Gwen, come ha avuto modo di rimarcare più volte:
“Gwen era un bel faccino, ma nient’altro. Il suo contributo era nullo, e non aveva senso che Peter stesse con una ragazza come quella. Solo una ragazza con dei problemi si metterebbe con un ragazzo con dei problemi come Peter Parker, e Gwen era troppo perfetta. La cosa assurda è che avevano per le mani Mary Jane, il personaggio femminile più interessante che ci fosse nei fumetti, e non l’avevano mai sfruttata a dovere: doveva essere la sua ragazza, non l’amica della sua ragazza!”.

Conway pensava dunque che Peter e Gwen fossero una coppia troppo perfetta, e che se la relazione fosse andata al “livello successivo” (ossia il matrimonio e la rivelazione dell’identità di Peter a Gwen) lo spirito tragico del personaggio di Spider-Man sarebbe stato definitivamente tradito. Si decise dunque di uccidere Gwen, liberando Spider-Man di un “peso narrativo” e riportando il personaggio alla tragedia che era nel suo DNA da sempre.
Ironia della sorte, il “livello successivo” troverà comunque compimento proprio con Mary Jane negli anni’80, ma contro ogni pronostico non porteranno affatto il personaggio su un binario morto, ma anzi gli daranno una vera rinfrescata, segno che il problema non era il matrimonio in sé, ma il personaggio di Gwen ad essere troppo statico per un’evoluzione del genere.

Chi ha ucciso Gwen Stacy?
I racconti di Gerry Conway, John Romita e Stan Lee sui giorni in cui si decise di uccidere Gwen sono spesso contraddittori, tanto che tutt’oggi non è chiarissimo chi abbia premuto il grilletto. Lee stesso di quei giorni ricorda solo questo: “Quando me lo proposero dovevo incontrare qualcuno in Europa per lavoro. Andavo di fretta e dissi ‘Fate quello che volete’, ma volevo solo uscire dall’ufficio e preparare i bagagli in tempo. Poi quando tornai scoprii della morte di Gwen e mi chiesi subito il perché lo avessero fatto.”
Conway e Romita andarono in fondo in una decisione tanto pesante guidati da un po’ da una sana incoscienza e senza farsi tante domande su come l’avrebbero recepita i fan, come rimarcò Romita in un’intervista del 2006: “La nostra sensazione era che nel giro di 5 anni nessuno se ne sarebbe ricordato. Pensavamo sempre che il crollo definitivo del mercato dei fumetti fosse dietro l’angolo. Non pensavamo se ne sarebbe parlato nel giro di 5 anni, figuriamoci 35!”.

Probabilmente a rendere affascinante la morte di Gwen è anche l’alone di mistero che le aleggia intorno, come sui giorni in cui la Marvel decise di ucciderla e su chi prese la decisione, ma anche sulle location e le cause stesse della morte, inizialmente non proprio chiarissime.
Anche se oggi il ponte di Brooklyn è ufficialmente riconosciuto come il luogo della morte di Gwen, la location disegnata fu infatti un errore di Gil Kane. La didascalia della storia, infatti, recitava chiaramente che la scena si svolgesse sul ponte George Washington (che, ironia della sorte, è il ponte newyorkese col più alto tasso di suicidi), sito all’estremità nord-ovest di Manhattan, eppure Kane disegnò il ponte di Brooklyn, che si trova in posizione completamente opposta, all’estremo sud-est dell’isola. Anche se Kane disegnò la scena sul ponte sbagliato, negli anni ha comunque prevalso l’aspetto grafico, tanto che tutt’oggi la versione “ufficiale” è che Gwen sia morta sul ponte di Brooklyn.

Piccola curiosità: il primo uomo a cadere dal ponte di Brooklyn fu Robert Emmett Odlum, un nuotatore professionista che nel 1885 (2 anni dopo l’inaugurazione) si gettò di sua volontà dal ponte per dimostrare che con un tuffo perfetto anche una caduta in acqua da 84 metri non potesse essere letale. Come andò a finire è abbastanza intuibile.
Come detto prima persino le cause della morte di Gwen non furono subito chiarissime. Nella storia vediamo infatti una Gwen priva di sensi venir gettata giù dal ponte, per poi essere presa dalla ragnatela di Spider-Man prima di cadere in acqua. Ma una volta riportata in cima, Gwen non dà segni di vita, mentre Goblin urla a Spider-Man “Era morta prima ancora che la tua ragnatela la raggiungesse. lo spavento di quell’altezza avrebbe ucciso chiunque”, lasciando intendere che Gwen fosse morta per lo shock già prima dell’arrivo di Spider-Man sul ponte. Tuttavia c’era un piccolo dettaglio a mettere dubbi sulla causa della morte, quella che col senno del poi divenne una delle onomatopee più iconiche della storia del fumetto: un piccolo “Snap!” scritto accanto al collo di Gwen durante l’arresto della caduta.

Lo “Snap!” fece scaturire una teoria dai fan: Gwen era morta a causa di Spider-Man stesso, che frenando in modo troppo brusco la sua caduta con la ragnatela le aveva spezzato il collo per il cosiddetto “colpo di frusta”. Nel fumetto non ci fu alcun riferimento al collo spezzato di Gwen, ma la teoria fu considerata legittima dalla Marvel stessa, tanto che dopo un paio di mesi lo stesso editore Roy Thomas confermò che a uccidere Gwen era stato il colpo di frusta della caduta.

La tesi del collo spezzato venne considerata la più realistica anche da James Kakalios nel suo libro La Fisica dei Supereroi: calcolando l’ipotetico peso di una ragazza come Gwen e l’altezza della caduta (il ponte di Brooklyn è alto 84 metri), Kakalios stimò che la caduta di Gwen fosse stata vicina ai 150 km orari, una velocità che unita alla poca elasticità della ragnatela di Spider-Man segnarono il suo destino. Una tesi che fu poi seguita da tutte le successive trasposizioni della morte di Gwen, come il film The Amazing Spider-Man 2.

Subito dopo l’uscita nelle edicole, Conway, Romita, e Kane ricevettero svariate minacce di morte. Oggi coi social ricevere insulti e minacce di morte dai fan quasi non fa più particolarmente notizia, tanto è la norma, ma nel 1973 era qualcosa di completamente inedito e dunque anche più spaventoso, tanto da costringere la Marvel a rispondere ai fan e motivare la loro decisione su Amazing Spider-Man n°125 con una lettera aperta ai lettori:
“Non c’era molto altro da fare con la relazione tra Peter e Gwen oltre il matrimonio. Ma ci sembrava sbagliato, Peter non era pronto. Quindi Gerry, John, e Stan sono arrivati ad una conclusione: la morte di Gwen doveva succedere e basta. Gli eventi si erano sviluppati in un certo modo per cui l’unica risoluzione logica era la tragedia. Non incolpate Gerry, non incolpate Stan, non incolpate nessuno”.

La donna che visse due volte
Anche ad anni di distanza è impossibile scindere Gwen dalla sua tragica morte. Ogni volta che la vediamo “resuscitata” da qualche reboot o universo alternativo sappiamo già che prima o poi qualcosa di brutto le accadrà. La stessa Emma Stone, intervistata nel 2012 riguardo la sua interpretazione di Gwen, disse di aver accettato il ruolo “per essere parte di un momento così importante per la cultura pop”, facendo ovviamente riferimento alla sua morte. Non perché fosse uno spoiler del secondo film, ma perché l’esistenza stessa di Gwen e la sua morte erano qualcosa di consequenziale, come se il suo unico scopo fosse morire.

La sua morte fu la sua salvezza: se Gwen da viva era un personaggio criticato, statico, e non particolarmente interessante, da morta divenne invece uno dei personaggi più celebrati e iconici della storia del fumetto. Persino i fan iniziarono ad apprezzarla e rivalutarla a posteriori, perché ora non era più “la ragazza acqua e sapone di Spider-Man”, ma un personaggio con uno scopo, un pezzo fondamentale della mitologia Marvel, e la sua idealizzazione di ragazza angelica da peso divenne una risorsa.
Da morta Gwen fu più viva che mai, e la sua bontà un po’ naïve assunse un altro significato, tanto che la purezza di Gwen a posteriori venne ulteriormente enfatizzata, iniziando ad essere rappresentata come una specie di angelo biondo che vedeva la bellezza nelle cose più impensabili, persino troppo pura per vivere in un mondo così cinico e crudele senza conseguenze (come nella sua apparizione su Marvels), un’ingenuità che ai lettori non era più così invisa, sapendo già in anticipo quale sarebbe stata la sua tragica fine.

Kurt Busiek, in un’intervista tenuta con Fumettologica per il 20° anniversario del suo Marvels, tornò con la mente proprio alla morte di Gwen, ricordando cosa rappresentò per i lettori dell’epoca: “Infrangeva la fede che si era lentamente costruita nelle Meraviglie, nell’idea che sarebbero sempre state lì a salvare la situazione. La realtà è che la cosa che rende speciale Gwen è che sia morta. Non era amata dai lettori prima della sua morte, era soltanto il personaggio di un grande cast che faceva le solite cose che fa la fidanzata di un supereroe. Ma quando morì fu uno shock, diventò il simbolo dell’amore perduto, l’innocente che non viene salvato. Sono sentimenti potenti che hanno risuonato nella serie per gli anni a venire. L’idea che qualcuno amato dall’eroe potesse davvero morire mentre l’eroe stava tentando di salvarlo era uno scossone, uno sviluppo potente. E fu questo che rese Gwen il personaggio memorabile che è oggi”.
La morte di Gwen fu anche la causa dello scontro finale tra Spider-Man e Goblin, in cui quest’ultimo morì trafitto dal suo stesso alienate.

Rispetto alla morte della “damigella in pericolo”, che un cattivo potesse morire in uno scontro con l’eroe era meno raro, ma fu comunque uno shock, dal momento che già ai tempi Goblin non era un villain qualsiasi, ma la nemesi definitiva di Spider-Man da parecchi anni. Una morte eccellente che solo personaggi come Joker o Lex Luthor avrebbero potuto pareggiare. Ma la morte di Gwen cambiò anche il destino di un altro personaggio, grazie all’ultima pagina della storia, dove Peter Parker torna nel suo appartamento trovando Mary Jane in lacrime per la morte di Gwen.

Ancora sconvolto per la morte di Gwen, avvenuta pochissime ore prima, Peter risponde tutt’altro che bene a MJ, che dalla sua creazione nel 1966 era sempre stata rappresentata come una ragazza frivola e superficiale che pensava solo alle feste e al divertimento, invitandola persino ad andarsene perché “Non saresti sconvolta neanche se morisse tua madre”:

Nonostante l’invito di Peter ad andarsene, la “frivola e festaiola” MJ preferirà chiudere la porta e rimanere con Peter, facendo così il suo primo gesto davvero umano dal 1966, e per quanto possa sembrare un dettaglio, col senno del poi quella porta chiusa fu uno dei più grandi turning point della Marvel, visto che sarà il primo vero passo verso la storia – e il matrimonio – tra Peter e MJ, che nel corso degli anni ‘70 inizierà ad essere rimodellata come un personaggio più elaborato, maturata anche grazie alla tragica morte di Gwen.
Ma al di là del destino dei singoli personaggi, la morte di Gwen insegnò qualcosa di decisamente importante al mondo del fumetto, un insegnamento che purtroppo oggi nessuno sembra più prendere sul serio sia nella Marvel che nella DC: quello dell’irreversibilità della morte.
La vera lezione di Gwen Stacy al mondo del fumetto
La Marvel fece invece il madornale errore di resuscitare Norman Osborn nel 1996 in quel pastrocchio meglio noto come “Saga del clone”, togliendo inevitabilmente solennità alla sua (apparente) morte di 23 anni prima. Fu il proverbiale salto dello squalo, che ruppe in modo definitivo il “tabù” della resurrezione di personaggi passati a miglior vita e aprì ufficialmente l’era creativamente peggiore della storia di Spider-Man, proseguita negli anni 2000 con atrocità come la finta morte di zia May, Morlun, i poteri totemici, Morlun, Peccati del Passato, L’Altro, Soltanto un Altro Giorno e tante altre cose che andrebbero evitate come la peste. E proprio su Soltanto un Altro Giorno – senza dubbio la storia del Ragno più odiata di tutti i tempi – qualcuno inizialmente ebbe la pazza idea di resuscitare Gwen, ma per fortuna un esercito di scrittori si oppose all’idea.

Venisse scritta oggi, la morte di Gwen non avrebbe il minimo impatto sui lettori.Una volta nel mondo del fumetto c’era un vecchissimo detto, ben noto a tutti gli appassionati: “Tutti possono tornare dalla tomba tranne Jason Todd, Bucky, e zio Ben”. Era una regola non scritta, un motto che ormai può definirsi superato, visto che dalla metà degli anni 2000 Jason Todd è tornato in vita nei panni di Cappuccio Rosso e Bucky è rinato come il Soldato d’Inverno. Di quel detto, l’unico rimasto irreversibilmente morto ora è zio Ben. Per ora.
Il ritorno di Norman Osborn dopo 23 anni di morte apparente non fu il primo caso di resurrezione in un fumetto, ma fu il peccato originale che rese definitivamente legittima l’idea, il momento da cui la morte divenne reversibile, una specie di porta girevole dove i personaggi resuscitavano ciclicamente, spesso a causa di mancanza di idee o futile nostalgia (Barry Allen, Hal Jordan, Betty Ross, Occhio di Falco, Oliver Queen, Jason Todd, Scott Lang e tanti altri), togliendo ogni sensazionalismo a qualsiasi lutto e di conseguenza azzerando l’assolutismo della morte, facendo gravitare le storie sempre intorno agli stessi personaggi e dando man forte a far cadere i fumetti Marvel e DC in un loop di mediocrità da cui tutt’oggi non si sono mai davvero ripresi.

Proprio sull’argomento nel 2006, Conway e Romita rilasciarono una bella intervista (che trovate tradotta qui) in cui riflettevano sull’eredità della morte di Gwen, e su come l’assenza di ineluttabilità nella morte – unita ad una continuity e ad un fandom sempre più opprimenti – stessero ormai limitando molto la libertà della storie:
“Quando Gwen morì, Spider-Man aveva solo dieci anni di vita, non c’era tutto quel senso di stabilità. Eravamo un po’ più liberi, eravamo in grado di osare qualcosa in più rispetto a personaggi che avevano già 50 anni di storie alle spalle. Al giorno d’oggi, i creatori sono così legati alla continuity e alle aspettative dei lettori che non hanno più quel tipo di libertà. Siamo stati fortunati. E, probabilmente, avevamo quella mancanza di saggezza che ci ha permesso di fare cose folli. Eravamo ingenui ma nel senso buono del termine.”

Ogni volta che la Marvel ha tentato per vie traverse di riesumare Gwen Stacy si è sempre data la zappa sui piedi da sola: vedasi la sua “resurrezione” nella prima Saga del Clone nel 1975, l’orrendo Peccati del Passato, o la creazione di Spider-Gwen, che pur trattando della Gwen di un altro universo fa comunque l’errore di far tornare “in vita” un personaggio che deve rimanere congelato al 1973 per essere efficace, sminuendo indirettamente l’irreversibilità della sua scomparsa e trovando l’ennesima scappatoia per rendere la morte meno assoluta in favore di un po’ di malsana nostalgia.
Sempre nella stessa intervista citata prima, a Conway e Romita venne chiesto cosa ne pensassero della resurrezione di Norman Osborn, facendo un parallelo e chiedendogli “Cosa ne sarebbe di Superman se uccidessero per davvero Lex Luthor?“. Conway rispose “Credo sarebbe profondamente liberatorio. E penso che la DC tornerebbe ad avere dei buoni livelli di vendite. Una parte del problema con Superman e gli altri eroi più vecchi, ma anche con quelli più recenti, è che sembra non esserci un senso di consequenzialità nelle loro vicende. Sono solo storie a sé”.
Ai due fu poi chiesto “Vista l’importanza che hanno oggi certi personaggi per il merchandising, dubito ve lo avrebbero concesso adesso. Oggi non potrebbe mai esserci una battaglia finale tra Batman e Joker, o tra Superman e Lex Luthor. Se un altro scrittore avesse proposto di uccidere Goblin 15 o 20 anni dopo di voi, gli avrebbero permesso di premere il grilletto?“. Al cui Romita rispose ironicamente “Ci avrebbero risposto ‘Non potete farlo, ci sono dei film che stanno per uscire!”.