La grandezza senza tempo di Batman – La serie animata
Di Batman – La serie animata si leggono spesso cose molto lusinghiere, e tutte verissime. “È la miglior cosa mai fatta su Batman!”: vero. “È una delle migliori serie animate di tutti i tempi!”: vero anche questo. Ma perché?
L’importanza della serie creata da Bruce Timm ed Eric Radomski va oltre l’essere un lavoro mastodontico, straordinario sul personaggio creato da Bill Finger e Bob Kane: fu pura rivoluzione per tutto il suo medium di appartenenza.
La serie animata dopo la quale le serie animate non sono più state le stesse.
Una nuova speranza
Gli anni ‘70 e ‘80 sono un decennio a dir poco buio per l’animazione televisiva made in U.S.A: la fanno da padrona i cosiddetti “saturday morning shows”, i cartoni del sabato mattina; prodotti senza la minima ambizione artistica, con una scrittura e dei disegni elementari.
Lo stesso Batman, ad esempio, è tra i protagonisti de I superamici, modesta serie animata della Hannah-Barbera incentrata sulla Justice League. L’animazione è decisamente mediocre, mentre le storie sono edulcorate all’inverosimile per andare incontro alle assurde restrizioni dell’epoca. In quegli anni è infatti proibito mostrare la benché minima traccia di violenza nell’intrattenimento per bambini, e gli autori devono trovare le soluzioni più pittoresche per suggerire l’eroismo di personaggi come Batman, Superman o Wonder Woman.

Il settore soffre poi un problema fondamentale: se da una parte troviamo gli animatori veterani – si intende gli “originali”, quelli che avevano lavorato ai primissimi film animati della Disney – dall’altra ci sono solo i giovanissimi, gli “apprendisti”. Non esiste una generazione “intermedia”: da lì la poca freschezza dell’offerta. Il vento comincia a cambiare quando, a inizio anni ‘90, uno Steven Spielberg all’apice del suo prestigio si mette in testa di realizzare una nuova serie sui Looney Tunes.
La grande produttrice di cartoni animati Jean MacCurdy ha appena abbandonato la Hannah-Barbera per andare a lavorare alla Warner, ed è a lei che Spielberg e soci si rivolgono per capire il da farsi. Quando le viene chiesto se è il caso di appaltare il lavoro a qualche altra società, MacCurdy risponde: “perché non apriamo la nostra divisione d’animazione proprio qui agli studi Warner?”. Così accade.

Viene prodotto Tiny Toons, show su dei giovani Looney Tunes ideato da Tom Ruegger, e le condizioni di lavoro sono idilliache: potendo contare sul benestare di Spielberg, il team creativo ha tutto il tempo e tutti i soldi che gli occorrono per fare sul serio. È il primo, deciso passo verso una TV per bambini che si sta per fare più ambiziosa, creativa e audace.
Finita la prima stagione di Tiny Toons, MacCurdy vuole che la neonata sezione di animazione della Warner si dedichi ad altro. Tra le varie idee, c’è quella di una serie su Batman. La proposta arriva alle orecchie dei cartoonist Bruce Timm – animatore proprio per Tiny Toons – ed Eric Radomski: le persone giuste al momento giusto.
“Sono Batman”
Nel 1989 il mondo conosce il Batman di Tim Burton. Il film è un successo clamoroso, e rende finalmente chiaro anche ai profani che con il cavaliere oscuro non si scherzerà più (almeno fino a Joel Schumacher). Prima di allora, nell’immaginario collettivo il Batman in carne e ossa è ancora quello di Adam West, datato 1966. Il serial anni ‘60 resta una delle opere pop più celebrate del decennio pop per eccellenza, ma per svecchiare il personaggio occorre tornare alle fondamenta: le suggestioni da rivista pulp, le atmosfere noir. Le detective stories.

Tra gli anni ’70 e gli ’80, i fumetti – grazie all’apporto di autori come Julius Schwartz, Dennis O’Neil e Frank Miller – hanno fatto già più del possibile per emancipare il personaggio dalla sua immagine deliberatamente camp, ma nell’audiovisivo non ci si è ancora mossi: il massimo concesso ai fan rimane appunto I superamici, serie anch’essa votata a una spensieratezza e una leggerezza che per il personaggio non vanno più bene.
Poi, come dicevamo, arriva Tim Burton. Batman ci viene presentato come un eroe umbratile, tormentato, minaccioso. Il pubblico impazzisce: è questa la strada da percorrere!
Ed è proprio qui che entrano in gioco Bruce Timm ed Eric Radomski. Se il primo è un appassionato e un fine conoscitore dei fumetti, di Radomski non si può dire lo stesso: gli è solo piaciuto il Batman di Burton. Timm lavora a degli originali concept per i personaggi da proporre alla rete, ispirati alla serie animata su Superman dei Fleischer Studios (di cui parliamo qui); Radomski, invece, realizza degli splendidi concept di Gotham City in uno stile espressionistico vicino a quello di Burton.

Jean MacCurdy rimane colpita da entrambi i concept, ed è lei a mettere insieme le due promesse dell’animazione: due artisti dalle personalità e dal background differenti, ma che si rivelano complementari. Ai due viene commissionato un piccolo corto di prova che dia un’idea della direzione in cui vuole andare la serie, e loro lo realizzano in breve tempo (lo trovate qui). È così che nasce il mondo della serie animata di Batman per come lo conosciamo: cupo, retrò, espressionista.
Il corto impressiona tutti quanti e dà il là al progetto: MacCurdy è talmente soddisfatta da proporre a Timm e Radomski addirittura di produrre la serie, mansione che per entrambi rappresenta una novità assoluta. Il vento cambia, e per l’animazione televisiva inizia un vero e proprio rinascimento.

Ma la rivoluzione di Batman – La serie animata non è solo formale: la sua scrittura in primis è particolarmente raffinata, vicina tanto alla sensibilità del suo giovanissimo target “ufficiale” quanto a quella del pubblico più maturo.
Jean MacCurdy chiama infatti a bordo il suo vecchio amico e collaboratore Alan Burnett, che per anni era stato costretto a scrivere la versione slavata di Batman per I superamici, e lo invita a capitanare il team di autori.
Grazie al suo amore per il personaggio, nonché a un’ottima conoscenza della sua storia editoriale, Burnett si vendica della pudica Hannah-Barbera, e può scrivere il suo cartone animato noir con scazzottate e – soprattutto – armi da fuoco. Che non è una concessione scontata: basti pensare che il cartone animato di Spider-Man, che gli è di poco successivo, per aggirare le limitazioni del network si inventerà delle improbabili pistole laser…
La bibbia di serie di Batman – La serie animata
Se l’impatto della serie è ancora così forte, in ogni caso, è merito di un fattore fondamentale: la sua integrità artistica.
In rete potete trovare facilmente la Bibbia di serie stilata dagli autori; una guida che aiuta a inquadrare la poetica inscalfibile della serie di Timm e Radomski.
Sul personaggio di Batman il discorso è ben chiaro: la maschera non è lui ma Bruce Wayne, alter ego al quale gli episodi dedicano uno spazio limitato rispetto alla controparte mascherata. Questo Batman deve potersi riappropriare dell’antica etichetta di “più grande detective al mondo”: è scaltro, abile, ha un fiuto infallibile. Ha un’etica ferrea e – assolutamente! – non uccide.

Ma gli autori indagano a fondo anche la psicologia dei villain, che – citando testualmente – devono essere “il più possibile oscuri”. Di alcuni di questi vengono riscritte le backstory, con i casi più eclatanti di ClayFace e di Mr. Freeze (lo stesso Joel Schumacher attingerà alla serie per Batman & Robin), mentre personaggi che oggi diamo per assodati, come Harley Quinn, vengono proprio inventati per l’occasione!
La maggior parte delle scene vengono ambientate di notte, i toni devono essere il più possibile dark, i riferimenti alla cultura pop assolutamente minimi se non inesistenti.

La Gotham City di Batman – La serie animata vive in un limbo atemporale; guarda molto al passato – in particolare agli anni ‘40, gli stessi in cui venne creato il personaggio – ma presenta anche elementi riconducibili alla contemporaneità.
Per riassumere questa estetica, figlia dell’amore di Bruce Timm per l’art déco e del gusto “tetro” di Eric Radomski, lo stesso Timm conia l’espressione Dark Déco: l’urbanistica di una Gotham City fuori dal tempo è immersa in atmosfere di ispirazione dichiaratamente noir, che prendono a modello da quest’ultimo l’utilizzo delle luci – o meglio, delle ombre – a sua volta debitore dell’espressionismo tedesco. Ogni episodio inizia con una title-card suggestiva, nel pieno stile del cinema e della televisione degli anni ‘40. Ogni title-card è disegnata dallo stesso Eric Radomski.

Le musiche, curate da Shirley Walker (grande compositrice, ne parliamo qui), partono dal tema di Danny Elfman per il film di Burton ma prendono una direzione tutta loro, adottando anch’esse atmosfere marcatamente noir. Sono musiche orchestrali, ambiziose, dal respiro cinematografico: il tassello decisivo nel definire un racconto che si pone di andare oltre le convenzioni dell’animazione del periodo.
Ma il recupero di certe suggestioni non è solamente formale: viene rincorsa anche la poetica del noir; il suo fatalismo, i suoi discorsi sulla relatività della colpa e dell’innocenza. Una rivoluzione rispetto alle avventure televisive di Batman che avevano preceduto il lavoro di Timm e Radomski: un racconto semplice, lineare ed esaltante, ma costruito su tematiche adulte.

Le sceneggiature sono tutte strutturate come dei “mini-film”, che prendono in prestito dal cinema classico la struttura in tre atti: un primo atto introduttivo; un secondo di “sviluppo”, in cui esplode l’azione; un terzo “risolutivo”, che culmina in un climax su uno spazio scenografico imponente. L’idea è quella di sfruttare appieno il potenziale illimitato dell’animazione, di dare corpo alle idee visionarie che il cinema non può permettersi.
Nel ridefinire e rimodellare l’universo di Batman per l’immaginario collettivo, il peso della serie supera ampiamente quello del primo film di Burton: i personaggi inventati di sana pianta da Timm, Radomski e soci – da Renee Montoya ad, appunto, Harley Quinn – vengono integrati nei fumetti, e le loro innumerevoli reincarnazioni conquistano anche le successive generazioni di appassionati.

I conoscitori della storia editoriale di Batman vanno in brodo di giuggiole: la serie è la summa di tutto ciò che ha reso il personaggio così amato e popolare negli anni, l’unione di diverse suggestioni in un disegno completo, definitivo.
Una serie che resiste alla cosiddetta “prova del tempo” perché non ha tempo, perché è una manifestazione artistica pura e incontaminata. Un’opera densa, complessa, ma lo stesso magnetica per il suo giovanissimo pubblico di riferimento: i più piccoli forse non riescono a spiegarsi cosa si celi oltre ciò che riescono a vedere, ma di certo sanno che c’è qualcosa. Ed è rivedendola con occhi adulti che tutto appare chiaro. Indimenticabile.