Kim’s Convenience e la vecchia vita di Shang-Chi

Amo l’inglese parlato con un qualunque accento estero. Ritengo aggiunga un che di affascinante. No, non è vero: mi fanno semplicemente ridere gli accenti. Più stereotipati sono e meglio è.

Qualche settimana fa, navigando su Netflix alla ricerca di qualcosa che non fosse per niente impegnativo, mi sono imbattuto in questa serie in cui i personaggi parlavano inglese con un accento coreano marcatissimo. Sono un grande fan del personaggio di ‘Uncle Roger’ (Interpretato dal comico Nigel Ng), spopolato qualche tempo fa sul web; uno zio asiatico che, con zero credenziali o meriti culinari, recensisce duramente e crudelmente i video di cucina di piatti asiatici presenti sul web, in inglese ma con accento pesantissimo. Essendo di origini asiatiche l’ho trovato una raffigurazione estremamente fedele alla realtà: nella mia vita di Uncle Roger ne ho conosciuti a bizzeffe, dunque ritrovarli in Kim’s Convenience mi ha divertito non poco.

Kim’s Convenience è una sit-com canadese che vede protagonista la famiglia Kim. I Kim sono immigrati coreani in Canada, e possiedono un negozio di alimentari e articoli per la casa in un piccolo quartiere.

In poco tempo la serie mi ha catturato del tutto; il racconto della quotidianità di una famiglia di immigrati mi ha portato indietro nel tempo, a quando questa era anche per me la realtà di tutti i giorni: merito di una scrittura estremamente semplice e autentica, e di prove attoriali altrettanto umane. Non a caso, ogni volta che si tenta di complicare inutilmente la scrittura (o di stupire con dei twist per niente necessari) arrivano i momenti più deboli della serie, che perde parecchio di credibilità.

Un concetto che penso sia chiaro allo spettatore è che Kim’s Convenience non è certamente ineccepibile né come sit-com, né come serie in generale. E non ha bisogno di esserlo. Funziona e il suo punto forte è appunto la sua semplicità. Purtroppo è un concetto che più volte non viene capito dagli autori stessi (o dai produttori?).

Apprezzo quando si ha la dignità di mettere un punto quando non c’è più nulla da raccontare, e Kim’s Convenience termina con la quinta stagione nonostante fosse già stata rinnovata per una sesta. Finita la quinta stagione, i creatori della serie hanno deciso di non tornare per un’ulteriore stagione, perché a loro dire non sarebbero riusciti più a darle cuore e autenticità. Inoltre, pare che anche le tante problematiche interne non sono state certo di aiuto.

Tornando a noi, vi posso assicurare che ogni singolo figlio di un immigrato può del tutto rivedersi in Janet (Andrea Bang), cresciuta in Canada e che vive ancora con i genitori, Uppa e Umma (rispettivamente Papà e mamma in Coreano), trovandosi a combattere quotidianamente la loro costante invasività, la loro estrema supponenza che li rende totalmente incapaci di capire i propri figli.

Perché sappiate che un genitore asiatico non chiede mai scusa e non può (nella sua testa) mai avere torto, e qualunque risultato positivo raggiunto dai propri figli sarà nel 99% dei casi premiato con un ‘potevi fare meglio’. Se il traguardo raggiunto è il più alto disponibile invece si viene premiati con un bel ‘Questo non è nulla: la vostra vita è troppo facile. Ai nostri tempi al nostro paese percorrevamo continenti a piedi per andare a scuola, combattevamo con i giganti, venivamo torturati dai demoni degli inferi etc etc etc’.

Nella loro mente è un modo per spronare i propri figli a raggiungere il massimo delle proprie potenzialità, una dimostrazione d’affetto, ma è una cosa estremamente frustrante: questa frustrazione è perfettamente raffigurata da Andrea Bang, ottima nei panni di Janet, com’è del resto egregiamente raffigurato il punto di vista dei genitori. Questo non ci fa necessariamente entrare in empatia con loro, ma ci aiuta a comprenderli e a farci rendere conto che non sono dei mostri. La realtà è che a modo loro sono delle gran brave persone, disposte a sacrifici devastanti per la propria famiglia e capaci di amare moltissimo i loro cari, pur non manifestandolo nel migliore dei modi per via del loro retaggio culturale.

Non vorrei tralasciare il fatto che si ride parecchio, grazie soprattutto ai personaggi a mio avviso migliori della serie: Kimchee (Andrew Phung), Mr. Kim (Paul Sun Hyung Lee), Pastor Nina (Amanda Brugel) e Ms. Kim (Jean Yoon).

Personalmente trovo estremamente divertente che Gesù venga chiamato ‘The Jesus’ e il momento più alto con ‘The Jesus’ all’interno di una frase è quando Mr. Kim, non del tutto voglioso di pregare ad alta voce, fieramente e con convinzione si esonera dal farlo dicendo ‘The  Jesus knows what we thinking. He is like a X-Men’.

A proposito di eroi Marvel, c’è anche Simu Liu, a.k.a. Shang Chi. Liu interpreta la parte del figlio ex-bad boy scappato di casa, che si è ripulito e ricostruito da zero ma fa ancora fatica a riallacciare del tutto i rapporti con il padre. Nonostante lo ritenga forse uno degli elementi più deboli, aggiunge comunque sfumature interessanti.

I pettegolezzi delle mamme e zie in chiesa, la convivenza tra cultura occidentale e orientale, e tante altre sfumature presenti nelle piccole comunità di immigrati sono restituite con autenticità. Non è di certo una serie perfetta, ma è un piacevole modo di trascorrere qualche pomeriggio divertente e leggero.

Arnob Mobin Muktadir

Pilota di Robot giganti. Amante di film e videogiochi. Supereroe. Povero.

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