Il miracolo di The Batman
Batman è tornato! Nulla di straordinario: lui torna sempre. Quest’anno tornerà persino una seconda volta, interpretato nientemeno che da Michael Keaton in persona alla veneranda età di settant’anni. Lo avevamo visto mutare pelle anche sei anni fa, interpretato da Ben Affleck, che poi abbiamo rivisto anche quest’estate nel tanto chiacchierato Snyder Cut (qui il nostro articolo) e rivedremo nello stesso film con Keaton, The Flash, che sdoganerà il multiverso in casa DC.

Il The Batman di Matt Reeves invece è una creatura anomala. Per fortuna. Vuole essere una cosa a sé, slegata da un universo narrativo, e guarda caso è un bel film. Anzi, abbondiamo: è un ottimo film. Le atmosfere, la messa in scena e l’interpretazione di Robert Pattinson ammaliano fin da subito, e finalmente – ed erano anni che non succedeva – ci troviamo immersi di nuovo in una Gotham City irreale, uno sfondo suggestivo per le avventure del detective più famoso del mondo. Ed è proprio detective la parola chiave: il Batman di Pattinson indaga, si presenta sulla scena del crimine, segue piste. È giovane, inesperto, impulsivo, picchia forte e i criminali lo temono come un’entità sovrannaturale. Tutto giusto e messo in scena benissimo.
I primi minuti costruiscono le premesse in maniera particolarmente brillante, rinunciando (per fortuna) a raccontare una origin story e tornando in questo senso dalle parti di Tim Burton, che presentava l’Uomo Pipistrello al pubblico come una figura misteriosa, con una psiche contorta da indagare durante la visione.

The Batman è un film rinfrescante perché c’è del cinema, che però non è da fraintendersi con “perché è serioso”. Come Christopher Nolan, Matt Reeves sceglie infatti la via della “serietà”, cercando atmosfere marcatamente neo-noir (il rimando a Se7en è evidente), ma riesce ad aggiungere un ulteriore livello che rende l’esperienza più particolare della blasonata trilogia finita dieci anni fa: il sogno. La Gotham di Nolan era una città; quella di Matt Reeves è Gotham, un posto che può esistere solo al cinema.
Questo è il suo gesto più importante e radicale, visto nell’ottica del cinecomic: un film acclamato che stavolta ha fregato tutti, senza eludere i crismi di un fumettone come fece Joker ma immergendoli solamente in un racconto particolarmente cupo, quindi solo all’apparenza meno infantile. Un film in cui i personaggi abitano un mondo impossibile, la cui anima è incarnata dal riuscitissimo Pinguino di Colin Farrell, nascosto da un make-up impressionante e ai limiti del grottesco. Un mondo che, volenti o nolenti, si ricorda in ogni momento di venire dai fumetti.

Il lato più scricchiolante di The Batman è semmai la scrittura. Dopo una prima ora semplicemente eccezionale, i momenti in cui il film somiglia di più a un blockbuster contemporaneo purtroppo non mancano. C’è un segmento in particolare in cui arriva un’idea all’apparenza molto coraggiosa, audace e potenzialmente utile a uno sviluppo più originale dell’arco narrativo del protagonista, ma se la rimangiano immediatamente.
Vale la pena entrare nello spoiler per approfondire un attimo la questione: Bruce scopre che suo padre, Thomas Wayne, a quanto pare era un soggetto non diverso dai criminali che Batman combatte ogni giorno. Pare infatti che avesse fatto uccidere un uomo dalla mafia: un’idea di un coraggio che ero pronto ad applaudire; un Batman messo a confronto con dilemmi morali più forti e complessi, che avrebbero potuto rendere la sua scelta di operare comunque dalla parte del bene di una forza del tutto inedita. Niente: arriva Alfred e ci dice che no, Thomas Wayne era un pezzo di pane e quella cosa l’aveva fatta in un momento di debolezza, chiedendo al boss della città di spaventare soltanto l’uomo in questione, non di ucciderlo. Purtroppo sappiamo come sono i mafiosi: non ascoltano mai.

Insomma, siamo nel 2022 e la complessità tematica viene sacrificata in favore di risposte nette e fin troppo accomodanti (come nel monologo finale di Batman, che ricorda Nolan in negativo), ed è il motivo per cui chi grida al “capolavoro” purtroppo è fuori strada. Per fortuna Matt Reeves ha talento abbastanza da regalarci un’esperienza comunque ricca di super momenti, spettacolari e non.
Le sequenze più riuscite sono tali perché scelgono la via del “non detto”, delle immagini. In breve: del cinema. È bellissimo, ad esempio, come la scena della morte dei genitori di Bruce Wayne non venga mostrata per l’ennesima volta ma sintetizzata nello sguardo allucinato che Batman rivolge a un bambino cui è toccata la sua stessa sorte.

Forse è proprio per la forza di questi momenti che ci si sente traditi dalle cadute nell’ordinario, ma sappiamo anche quanto questi enormi studio movie, questi prodotti che portano avanti enormi brand, debbano per forza soffrire qualche costrizione. La forza del film di Matt Reeves sta nel come utilizza lo spazio di manovra che ha rispetto al cinecomic medio, rimandando i momenti facili il più possibile e lavorando al massimo su tutto il resto. Non è un film per masse di cui si intuiscono le buone intenzioni: finché può fa proprio faville. La parte in cui sembra perdere più colpi è quella finale, in cui ci si interroga seriamente sulla necessità di allungare così tanto il brodo.
I difetti non mancano, quindi, ma il mondo di The Batman è avvolgente e ipnotico: Robert Pattinson lo abita con grande convinzione e ci mette sfumature sempre interessanti, mentre Zoe Kravitz lo abbellisce con una Catwoman che non vuole replicare la magia di quella di Michelle Pfeiffer ma supera facilmente Anne Hathaway, portando avanti un arco narrativo non particolarmente memorabile ma sicuramente riuscito.

Il meno convincente è proprio l’Enigmista di Paul Dano, che è (ovviamente) ben interpretato ma non ha la statura a cui forse si ambiva in fase di scrittura, funzionando più che discretamente nella prima metà ma afflosciandosi nella seconda, rivelando motivazioni e background non proprio brillanti.
Tutto sommato è un personaggio abbastanza insulso, che risponde a schemi collaudati del cinema commerciale recente: prendi un attore bravo, preferibilmente famoso per le sue parti in roba indie, dagli un villain da interpretare e a cui appiccicare addosso tutti i tic che vuole e fallo recitare così forte da mascherare qualunque ingenuità di scrittura. A Joaquin Phoenix hanno fatto reggere un film intero così, a Paul Dano senza maschera toccano gli ultimi minuti, quindi ci si può stare.
Paradossalmente questo si rivela però più un vantaggio che un limite: per una volta, Batman ha (molto) più carisma dei suoi villain. Non era mai successo.

Un po’ come la serie animata di Bruce Timm e Eric Radomski fece a suo tempo in TV, The Batman vuole essere la summa del personaggio al cinema (e non solo), attingendo a tutte le incarnazioni precedenti per raggiungere la sua identità: così come il cartone aveva echi di Burton ma portava avanti tutti altri discorsi a livello tematico (per non parlare del fatto che gli autori della serie amassero il mood dei film di Burton ma non le trovate narrative), The Batman sembra avere dentro tanto Burton quanto Nolan, riprendendo dal primo l’idea stilizzata di città e anche citandolo musicalmente nel commento (eccellente) di Michael Giacchino, mentre dal secondo recupera la verosimiglianza (da non confondere con il realismo), facendola però funzionare meglio proprio grazie alla sua immersione in un contesto da incubo. Da Schumacher purtroppo non recupera nulla: nessun film è perfetto. No, aspettate, rettifico: riprende le gang con la faccia pittata e il finale con il cattivo rinchiuso ad Arkham!
The Batman è il film che i fan dei cinefumetti non meritano e di cui non hanno bisogno, perciò grazie.