Il cavaliere oscuro ambisce a troppo
Sulle origini del Batman di Christopher Nolan sapete già tutto: Batman & Robin uccide il franchise, la Warner congela il personaggio per qualche anno, arriva il reboot nel 2005.
Il ricordo di Batman & Robin impose di abbandonare il lato più camp di Batman, dando a Nolan l’obbligo di spingere sui tasti più oscuri e realistici del personaggio. Che fu un po’ anche l’evoluzione che stava avvenendo nei fumetti: dopo il kitsch e gli eccessi degli anni ’90, gli anni 2000 sono gli anni di fumetti disillusi come Ultimates (il nostro articolo qui), Civil War, Supreme Power, e compagnia. Batman Begins fu un successo anche per questo: cavalcò l’onda prima ancora che il pubblico stesso si rendesse conto che era esattamente quello che voleva, ma anche perché alla fine era un buon film, che conciliava questa nuova direzione “realistica” con qualche classica spacconeria da blockbuster niente male (lo stormo di pipistrelli aizzato contro la SWAT, presa da Anno Uno).

Un successo tale che ad Hollywood nacque la moda di rivedere i propri eroi classici in chiave dark: un termine che da Batman Begins in poi verrà usato sempre più a sproposito, e su cui purtroppo Il cavaliere oscuro punta tutto e troppo.
Law & Order con pagliacci e uomini pipistrello
Nolan ha avuto un intuizione ambiziosa, forse fin troppo, ossia rifare Heat – La Sfida in chiave cinecomic, con la volontà dichiarata di rendere Gotham City e le sue istituzioni il vero centro del film. Un’idea interessante ma limitata dai troppi vincoli. Il cavaliere oscuro infatti si fa carico di troppi compiti: essere un cinecomic pieno di scene d’azione, mandare avanti la storia del primo film e al tempo stesso essere un blockbuster poliziesco, un cinecomic più d’autore della media, per di più col difficile compito – fallito, infatti – di non tenere troppo in disparte un protagonista che col solo nome smuove un franchising da miliardi di dollari.

Quest’ultimo aspetto non è necessariamente un handicap, dopotutto neanche un capolavoro come Batman – Il ritorno era esattamente un film di Batman, ma inizia a essere un problema quando il taglio netto del proprio protagonista è frutto delle troppe cose che si accavallano, piuttosto che una scelta. Per tutto il film infatti l’impressione è che si vada troppo spediti; la volontà è quella di includere tutti gli eventi e le svolte di trama possibili, ma alla fine troppe cose restano tagliate fuori, facendo sembrare scarsi i suoi 152 minuti.
Il cavaliere oscuro vuole essere davvero troppe cose, e per farle entrare tutte nello stesso film deve andare talmente di fretta da fare tagli netti e sbrigativi, sbrigando fuori campo svolte importanti di trama in modo anche abbastanza goffo (come il rapimento di Harvey Dent), o spezzando sequenze intere in tante mini scene che si spogliano da sole di ogni climax (quanto sarebbe stata più efficace il famoso confronto tra Joker e Due Facce all’ospedale senza interruzioni?).

Nolan aveva nobili intenzioni: fare un poliziesco d’autore dentro Batman. Il problema è che alla fine è quasi indeciso su quale strada percorrere. Intendiamoci, non stiamo parlando di un film mal riuscito, tutt’altro, i momenti potenti ci sono eccome (la rapina, il Joker che irrompe al party, la morte di Rachel, il confronto all’ospedale con Harvey Dent), ma la sensazione è che se fosse stato un poliziesco senza vincoli e collegamenti al mondo di Batman si sarebbe assistito a un film più libero, meno frettoloso, e in generale migliore. E invece abbiamo un film che sembra subire il “peso” del proprio background, sia fumettistico che filmico (ossia di Batman Begins), che rende ripetitive le dinamiche e i dilemmi spacciati per profetici da Il cavaliere oscuro, tanto che concretamente il film non affronta né introduce in modo particolarmente inedito tematiche “alte” che non siano già state dissezionate più e più volte sia al cinema, sia nei fumetti, sia da Nolan stesso su Begins.

Il rapporto simbiotico tra il Joker e Batman nei fumetti esiste da decenni, ed era stato già affrontato (in meglio) nel primo Batman di Tim Burton (ne parliamo qui), come esiste da sempre il dilemma di Batman sulla sua famosa regola del non uccidere, persino su Begins (una questione che costava la rottura tra Batman e la Setta delle Ombre). Il cavaliere oscuro non propone nulla di davvero nuovo a livello di contenuti, perché vedere Batman e Joker filosofeggiare sulla vita e la moralità è come vedere Batman e Catwoman flirtare: dinamiche trite e ritrite, viste e straviste in tutte le salse dal 1939, mentre sulle stesse tematiche la filmografia mondiale trabocca di prodotti decisamente più coraggiosi e significativi de Il cavaliere oscuro che, tutto sommato, in realtà non si sbilancia più di tanto.
Senza contare che, se posso entrare a gamba tesa e farmi odiare ancor di più da tutto internet, il primo cinecomic davvero adulto e “dark” (quanto odio ‘sto termine) lo avevamo già avuto nel 2003 con l’Hulk di Ang Lee, con tematiche ben più difficili da portare in un blockbuster rispetto a Il cavaliere oscuro, e che fu ingiustamente criticato proprio per il suo essere “poco spettacolare”. Forse era solo troppo in anticipo sui tempi. Parliamo di film completamente diversi e imparagonabili, ma è bene ribadire che Nolan non fu affatto il primo ad alzare l’asticella della serietà dei cinefumetti.
La scomoda eredità del Joker
Inutile dire che Il cavaliere oscuro è ricordato essenzialmente per la figura del Joker. Vuoi perché Ledger è stato oggettivamente fenomenale, vuoi per il suo (azzeccatissimo) look, vuoi per la morte del povero Heath che – non penso sia un eresia dirlo – ha determinato buona parte del successo del film un po’ come fu la morte di Brandon Lee per Il Corvo. Insomma, se è l’elemento che ha contribuito a far ricordare il film, è anche il suo più grande “problema”.

Il film è totalmente Joker-dipendente e per carità, ci sono tanti esempi di grandi film villain-centrici (come Il silenzio degli innocenti), ma quanto buona parte del soggetto riguarda il rapporto simbiotico tra villain e l’eroe, se uno dei due passa troppo in secondo piano, allora c’è un problema, e Bale stesso appare meno convinto che in Begins per lo stesso motivo (come lui stesso ha ammesso più volte).
Senza volerlo Il cavaliere oscuro ha creato un “mostro” che ha finito per danneggiare la trilogia stessa, visto che il terzo capitolo si farà così tanto carico dell’eredità de Il cavaliere oscuro da implodere nella sua ossessiva voglia di replicarne la potenza e il significato che aveva avuto per il pubblico, diventando un po’ lo stereotipo della morbosa ricerca dell’epica che spesso accomuna i terzi capitoli. E a incarnare “il mostro” in questione è purtroppo il Joker stesso.

Al di là dell’incredibile prestazione di Ledger, il Joker vive di troppe massime da poeta maledetto, tanta retorica, e critiche alla società odierna abbastanza naive che verranno esasperate in modo anche più populista dai suoi “figli” (come il Joker di Phoenix); tutti elementi che creeranno senza volerlo il prototipo della moderna (ed errata) concezione del Joker: quella di un personaggio dannato e dai profondi significati pseudo-filosofici che non solo non gli appartengono (tolti esempi piuttosto circoscritti come The Killing Joke, di cui non sono neanche mai stato un fan, quindi sono abbastanza di parte), ma che lo rendono paradossalmente un personaggio meno interessante, quasi un antieroe spogliato di tutta la pazzia e la banalità del male che lo hanno reso il personaggio affascinante che è dal 1940.
Gli stessi slanci di sadismo de Il cavaliere oscuro sono piuttosto limitati (l’omicidio in TV dell’emulo di Batman, o la roulette russa dei rapimenti di Harvey e Rachel), e sono guarda caso i suoi momenti migliori, ma così usati col contagocce da tradire la paura di fondo di renderlo troppo “cattivo” e poco “antieroe” agli occhi del pubblico (anche qui, un’altra eredità che il Joker di Phoenix si porterà appresso).

Il cavaliere oscuro è un film davvero strano: è più che riuscito quando abbraccia le sue intenzioni originali da poliziesco, e lo è decisamente meno quando rimane vincolato dai suoi doveri di blockbuster (si può dire che contiene le scene d’azione peggiori di tutti i film sul Pipistrello?), o quando insiste sul filosofeggiare sul bene e sul male con fare messianico solo perché è il primo a pensarci nell’arido microcosmo dei cinecomic. Ma essere i primi non significa automaticamente centrare il punto.
Forse a condizionarmi è l’eccessivo culto che gli si è creato intorno piuttosto che chissà quali difetti, perché Il cavaliere oscuro è un buonissimo film. Solo che è vittima della sua condizione di franchise, e di un retaggio che forse ci ha visto più significati (troppi significati) di quanti non ce ne fossero in origine.