Fiabeschi torna a casa: lo sconosciuto spin-off di ‘Paz!’

L’uscita del Diabolik dei Manetti Bros. è prevista per il 2021. Non sappiamo quando realmente uscirà, ma nell’attesa abbiamo deciso di ripercorrere la storia del mai abbastanza ricordato “cinefumetto” italiano. Un cinema figlio di anni in cui ai produttori, incredibilmente, l’idea di portare sullo schermo le icone del fumetto tricolore non sembrava poi così assurda.

Le puntate precedenti:

  1. Cenerentola e il signor Bonaventura (1941)
  2. Kriminal (1966)
  3. Satanik (1968)
  4. Diabolik (1968)
  5. Isabella duchessa dei diavoli (1969)
  6. Baba Yaga (1973)
  7. Sturmtruppen (1976)
  8. Tex e il signore degli abissi (1985)
  9. Paz! (2002)
  10. Dylan Dog – Il film (2010)

Undicesima puntata: Fiabeschi torna a casa (2013)

Che il film fosse piaciuto o meno, la visione di Paz per chiunque si era inevitabilmente conclusa con un unico pensiero fisso: “Voglio più Fiabeschi”. Qualcosa che sembrava impossibile a causa della non elevatissima fama del film, ma che nel 2013, contro ogni pronostico, è diventato realtà, grazie al crescente culto di un personaggio che valeva da solo la visione del film.

Dopotutto, se digitando “Paz” su Youtube il 90% dei risultati che usciranno sono scene relative a Fiabeschi un motivo ci sarà. Rubando la scena a tutti, il personaggio di Max Mazzotta evidenziava più di tutti i pregi di Paz, ossia il fatto che le parti migliori fossero proprio quelle che più si distanziavano dal fumetto, complice anche il fatto che Fiabeschi nei fumetti di Pazienza è un personaggio molto marginale rispetto al film, e che quindi consentiva una certa libertà artistica, regalando quello che si può tranquillamente definire e il miglior personaggio partorito dal nostro cinema nell’ultimo ventennio insieme allo Zingaro di Lo chiamavano Jeeg Robot.

Enrico Fiabeschi faceva ridere essenzialmente per due cose: la fantastica interpretazione di Mazzotta e il mondo in cui si muoveva, ossia il contesto della politica giovanile della Bologna del ’77 in perfetta contrapposizione al suo personaggio perdigiorno e svogliato, la cui massima preoccupazione era procurarsi una canna laddove (quasi) tutti i suoi coetanei tentavano invece invano di cambiare il mondo.

Se il primo fattore su Fiabeschi torna a casa è sempre presente, con un Mazzotta visibilmente a suo agio nei panni del personaggio (così tanto da curarne regia, soggetto, e persino musiche), il secondo è uno dei più grandi limiti del film, a causa proprio di un soggetto non azzeccato.

Il rischio di fare Andrea Pazienza senza Andrea Pazienza

Tecnicamente si tratta di un sequel/spin off di Paz, ma in realtà i riferimenti al film (o in generale ai fumetti di Pazienza) sono praticamente nulli. Nel film troviamo un Fiabeschi che decide di tornare dalla sua famiglia in Calabria ed affrontare una serie di problematiche che troverà una volta giunto lì, ma vedere il personaggio lontano dal mondo della mobilitazione politica, degli esami dati per inerzia, delle serate finite male per una canna di troppo, delle generazione apatica in contrasto con quella più scalpitante, e soprattutto da Bologna (la vera protagonista di Paz), è un handicap non da poco per il film.

Sarebbe stato di certo utopico immaginare un film geograficamente e cronologicamente vicino a Paz (Mazzotta rispetto a Paz ha 11 anni in più), ma l’idea di allontanarsi da Bologna e da quei particolari anni bolognesi è decisamente azzardata.

Sfruttando i “soli” 11 anni di invecchiamento di Mazzotta sarebbe bastato ambientarlo magari una quindicina di anni dopo, ad esempio nella Bologna di metà anni ’90, per far sentire più vicino ed efficace quello che Fiabeschi torna a casa (non) mostra in modo più blando, ossia la malinconica fine di una generazione che voleva cambiare il mondo e che ora è chiamata a farsi adulta e a trovare compromessi, o di una Bologna (il cuore pulsante di Paz) completamente diversa e ormai lontana dagli anni di piombo e dalla politica giovanile, tristemente lontana dai tempi del primo film e molto più disillusa e conscia di aver fallito nel suo intento.

In parte ha senso, dopotutto non si può fare Andrea Pazienza senza il materiale di Andrea Pazienza, ma tagliare completamente il cordone ombelicale con Paz toglie anche al personaggio di Fiabeschi la sua ragion d’essere: la totale assenza di interesse in tutto nonostante gli innumerevoli cambiamenti sociali che lo circondano. Cosa che, in un paesino calabrese degli anni 2000, di certo non può accadere.

Il film in sé è anche carino e gradevole, essenzialmente per il solito one man show di Mazzotta che con Fiabeschi non ha perso minimamente confidenza, riuscendo persino a rendere accettabili molti cliché della commedia – soprattutto – italiana decisamente irritanti in altri contesti, ma innegabile che senza il suo personaggio a fare show si sarebbe trattato di una commedia italiana senza particolari sussulti. Ironia della sorte, il film è sceneggiato da Giulia Steigerwalt, che proprio su Paz interpretava una ragazza rimorchiata da Fiabeschi.

Un film non memorabile ma abbastanza divertente, e non equiparabile né a Paz, né – ovviamente – ai fumetti di Pazienza, ma che alla fine trova la sua piccola grande vittoria personale nel far ripetere ancora una volta la medesima espressione che chiunque avrà già pronunciato alla fine di Paz: “Voglio (ancora) più Fiabeschi”.

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