Arrivederci amore, ciao: il bellissimo (e poco ricordato) noir di Michele Soavi

Il film di cui parleremo oggi è una chicca del nostro cinema “recente” (per così dire: sono già passati 15 anni); un film in anticipo sul filone delle moderne storie crime all’italiana, e che in tempi non sospetti si presentava già con un piglio moderno che in molti potrebbero definire “esportabile”.

Arrivederci amore, ciao è un noir che – a un anno di distanza dal Romanzo criminale (film) di Michele Placido, qui tra gli interpreti – uscì probabilmente in un momento sfortunato, portando a casa incassi modesti e vivendo la proverbiale riscoperta e ascesa a cult solo più tardi. Eppure si trattava del ritorno al cinema dopo 11 anni del grande Michele Soavi.

Quello di Soavi è un nome noto a tutti gli appassionati di cinema di genere italiano: ex pupillo di Joe D’Amato e Dario Argento, il nostro è noto per aver diretto un pugno di cult assoluti del nostro cinema orrorifico – Deliria, La chiesa, La setta e Dellamorte Dellamore –, facendosi sempre notare per il suo stile visivo accattivante e le sue invenzioni notevoli.

In un certo senso era l’erede ideale di Argento, con una vitalità registica paragonabile e con un senso dell’orrore altrettanto spiccato: quando diresse dei film scritti proprio da Argento, ovvero La Chiesa e La setta, si dimostrò infatti perfettamente all’altezza del compito, ma a riguardarli adesso è chiaro che ci fosse già un autore con intuizioni squisitamente sue.

Da La chiesa (1989)

Film con premesse come quelle erano infatti perfetti per dare libero sfogo a tutte le idee visive possibili, ed è proprio la sua mano registica ad elevare ad esempio La setta, che sulla carta rischiava di essere un horror derivativo e di scarso interesse.

Con Dellamorte Dellamore (di cui parliamo qui) arrivò l’occasione d’oro: il romanzo di Tiziano Sclavi da cui è tratto il film era qualcosa di diverso, che sfruttava le suggestioni del cinema di genere in maniera molto originale. Un testo perfetto per lo stile di Soavi, che ne tirò fuori un lavoro coi fiocchi, capace di diventare un più che discreto cult anche all’estero. Il film però incassò molto poco, e per 11 anni di Soavi al cinema non si seppe più nulla.

Arrivederci amore, ciao fu un ritorno in gran rispolvero ed in grande stile. Probabilmente il suo film migliore, sicuramente il più maturo.

Giorgio (Alessio Boni) è un ex terrorista di sinistra condannato all’ergastolo e rifugiatosi in Centro America. Il film non fa in tempo ad iniziare che ci rendiamo subito conto della sua moralità “flessibile”: il nostro infatti uccide il suo migliore amico a tradimento e senza battere ciglio, poi torna in Italia per conquistare la riabilitazione facendo i nomi dei suoi ex-collaboratori.

Una volta ottenuta la condizionale Giorgio prova per poco a rigare dritto (lo troviamo per breve tempo come cameriere ad un bar), ma una vecchia conoscenza lo convince a lavorare in un night club e a gestire gli introiti delle spogliarelliste, e in quel contesto ci metterà poco a tirar fuori il peggio di sé.

Oltre a fare la cresta sugli incassi, Giorgio costringe anche Flora (Isabella Ferrari), la moglie di un cliente indebitato, a diventare la sua amante finché il debito non sarà saldato. La sua voce narrante ce lo dice forte e chiaro: è pienamente consapevole di essere una carogna, e la cosa quasi lo tranquillizza. Dopo aver messo a punto più di un colpo con Anedda (Michele Placido), vice questore corrotto della Digos che l’aveva inizialmente convinto a parlare dei suoi vecchi soci, Giorgio inizia una nuova vita come proprietario di un ristorante ed è vicino ad ottenere la riabilitazione. Conosce anche una ragazza con proverbiale “testa a posto”, Roberta (Alina Nedelea), con cui ha in programma di sposarsi.

Come in un buon noir che si rispetti, però, il passato passerà a chiedergli il conto, e di fronte alle difficoltà Giorgio reagirà di nuovo nella maniera più gretta e meschina possibile. Il fatalismo tipico del genere colpisce sì il protagonista, ma soprattutto chiunque abbia la sfortuna di girargli intorno, che siano amici, collaboratori o affetti. Il male di cui si macchia è assoluto e rimane impunito.

Soavi dirige il suo primo film non sovrannaturale e lo fa raccontando una storia nerissima, ma come molti registi battezzati con l’horror e passati solo in seguito ad altro – vedasi Sam Raimi o Peter Jackson – riesce a raccontare con efficacia una storia non-orrorifica contaminandola con vecchi trucchi del mestiere quando necessario.

A fare tutta la differenza in questa crime story nerissima sono infatti i momenti in cui Soavi inventa come fosse ancora sul set de La Setta (giochino di parole non voluto), snocciolando intuizioni visive che richiamano l’horror senza mai risultare stonate, o quelli in cui permette a piccoli tocchi di umorismo (affidati spesso a un ottimo Michele Placido) di stemperare il torbido.

La maturità con cui riesce a centellinare le cose più riconoscibili del suo repertorio è quella di un vero maestro, e non si può non rimanere con l’amaro in bocca di fronte a una carriera fatta di film qualitativamente sempre migliori ma che purtroppo non ha voluto decollare nemmeno in questo caso, concedendosi solo tredici anni più tardi un ritorno incerto – diciamo anche indegno – con La befana vien di notte.

Arrivederci amore, ciao ha il coraggio di raccontare un protagonista irredimibile e l’intelligenza di non volerlo mai ammorbidire (come magari si potrebbe imputare ad un Romanzo criminale), utilizzando il suo presunto rimorso per un vecchio attentato quasi come aggravante: sì, la cosa lo tormenta, ma sceglie comunque la via del male. Il film non si concede mai inutile retorica o eccessi di seriosità: a parlare è la forza delle immagini, a rendere tutto “forte” quando necessario è la solidità della regia.

Il finale – che richiama dichiaratamente Schock di Mario Bava – è disperato, poetico e ammaliante, recitato benissimo dalla brava Alina Nedelea e girato magistralmente da Soavi, che ci saluta con uno dei suoi più memorabili pezzi di bravura. Chissà che non gli permettano di tornare a fare film così.

Poi forse c’è il solito problema con la presa diretta all’italiana, con quel modo di recitare i dialoghi a cui sono allergico (Alessio Boni qui è bravo, ma i passaggi in cui servirebbero i sottotitoli non mancano), c’è lo stacco a tratti decisamente stonato tra gli attori che recitano in italiano e la Nedelea che è doppiata, ma l’impianto è talmente forte che queste piccolezze non gli permettono mai di perdere in credibilità. Un gran film, da riscoprire.

Eddie Da Silva

Killer professionista in pensione.

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