Al film de La profezia dell’armadillo manca visibilmente la mano di Zerocalcare
L’uscita del Diabolik dei Manetti Bros. è prevista per il 2021. Non sappiamo quando realmente uscirà, ma nell’attesa abbiamo deciso di ripercorrere la storia del mai abbastanza ricordato “cinefumetto” italiano. Un cinema figlio di anni in cui ai produttori, incredibilmente, l’idea di portare sullo schermo le icone del fumetto tricolore non sembrava poi così assurda.
Le puntate precedenti:
- Cenerentola e il signor Bonaventura (1941)
- Kriminal (1966)
- Satanik (1968)
- Diabolik (1968)
- Isabella duchessa dei diavoli (1969)
- Baba Yaga (1973)
- Sturmtruppen (1976)
- Tex e il signore degli abissi (1985)
- Paz! (2002)
- Dylan Dog – Il film (2010)
- Fiabeschi torna a casa (2013)
Dodicesima puntata: La profezia dell’armadillo (2018)
Basterebbe leggere una storia qualsiasi di Zerocalcare, anche la più breve, per capire che trasporre i suoi fumetti su schermo non è la più fattibile delle imprese.
Eppure era inevitabile che prima o poi qualcuno volesse portare al cinema quello che – senza esagerazioni – è diventato uno dei fumettisti italiani più popolari di tutti i tempi, un nome conosciuto anche da chi di fumetti non ha mai masticato, cosa di cui pochi nella storia del fumetto italiano possono vantarsi (Andrea Pazienza, giusto per dire il nome più grosso del fumetto made in Italy prima di Zerocalcare, si guadagnerà la fama attuale presso il grande pubblico solo all’alba degli anni 2000, molti anni dopo la sua morte) nonché uno dei più talentuosi degli ultimi decenni.

Il fatto che Zerocalcare stesso non volesse farsi coinvolgere nel film poi non lasciava presagire nulla di incoraggiante, se non che nel team di scrittura ci sarebbe stato il suo amico Valerio Mastandrea, il cui ruolo in seguito si scoprirà però essere più ridimensionato.
Rispetto al fumetto, i temi de La profezia dell’armadillo sono gli stessi, la trama è pressoché identica, ma l’approccio è indeciso. Il film prende quelli che potevano essere i potenziali difetti dei fumetto di Zerocalcare, ma che quest’ultimo riusciva (e riesce tutt’ora) sempre a dribblare, senza però avere la stessa abilità a raggirarli.

Nei suoi fumetti Zerocalcare non vuole farsi portavoce di qualcuno, ma parlare semplicemente delle realtà che conosce, di quelle che lo hanno formato, magari dando eco a questioni che ha a cuore, rimanendo comunque disinteressato a farsi cieco portavoce di qualcosa, se non delle sue esperienze (che è forse l’unica vera similitudine con Andrea Pazienza, a cui è stato erroneamente paragonato per anni, nonostante i due siano molto diversi): perché nei fumetti a Zerocalcare non interessa far contento il suo pubblico con qualche stratagemma facilone, vuole solo informarlo. Che è poi la differenza tra populismo e divulgazione.
Al contrario, il film sembra subire le conseguenze della popolarità di Zerocalcare: per accontentare tutti e risultare abbastanza pop per essere dato in pasto al pubblico medio vuole essere un manifesto generazionale a tutti i costi, urlare col megafono quanto sia punk, giovane, popolano, e popolare, senza avere la “sporcizia” necessaria per risultare spontaneo e credibile (anche solo sentire er popolo parlare con una dizione italiana perfetta fa cadere l’intero castello di carte).
Un dramedy italiano abbastanza classico con un costume inguardabile
Visto da solo e senza alcuna comparazione con l’opera originale, il film può risultare godibile anche per chi non conosce il fumetto, al netto di quelle che potrebbero essere percepite come “stranezze”, ma che in realtà non lo sono affatto. I fumetti di Zerocalcare variano stile più volte: in alcuni momenti è grottesco, in altri surreale, in altri più realistico… come portare uno stile più adatto all’animazione che al live action su schermo?

Purtroppo in Italia, nonostante tra le nostre più grandi icone pop ci sia Fantozzi, si tende a vedere erroneamente l’approccio grottesco al cinema come “trash”, non si sa bene il perché.
Rendere La profezia dell’armadillo “solo” una verosimile storia sulla morte di una vecchia amica dell’adolescenza, rinunciando al caratteristico stile surreale di Zerocalcare tranne che per questioni logistiche o commerciali (non si può fare “La profezia dell’armadillo senza… l’armadillo) l’ha reso un film che di Zerocalcare ha giusto il soggetto e un paio di tormentoni, tra l’altro sfruttati solo perché più faciloni per il pubblico medio (l’eterna gag Roma Nord vs Roma Sud). Che poi definire Zerocalcare solo “surreale” è incredibilmente riduttivo e quasi sminuente, ma il discorso è sullo stile, non sui contenuti.

Prendere la strada dello stile verosimile rende inoltre inutile la figura dell’armadillo, su cui bisognerebbe fare invece un discorso a parte, e capire quando mai si è pensato che fosse una buona idea dare un costume da Melevisione a Valerio Aprea. Rievocare l’armadillo (così come tutti i personaggi che nei fumetti fanno da portavoce del subconscio di Zerocalcare) in un contesto più verosimile di quello dei fumetti poteva essere fatto in tanti modi diversi, ma nessuno avrebbe mai dovuto includere un pupazzone fatto di carne, ossa, e plastica: un tentativo così goffo che tappandosi il naso può anche andare nelle scene più in penombra, ma che alla luce del sole (come nella scena finale), o quando Aprea alza un minimo la testa, fanno chiedere se qualcuno si sia un minimo sforzato per tirare fuori una soluzione un pò più cinematografica.
Non trovando “compagnia” nel lato più surreale di Zerocalcare (se non nella scena dove compare il “demone” di Camille), l’armadillo sembra ancor di più un elemento di troppo e avulso dal contesto. Ma il problema non è l’armadillo, ma l’approccio scelto che ne ammazza il senso.

Tra le indecisioni di “stile” tra cinema e fumetto ci sono i personaggi stessi, che si ritrovano con la loro personalità cartacea che ogni tanto emerge talmente a caso, facendo sembrare i tratti della loro personalità dei lapsus improvvisi, da sembrare un espediente per spuntare la casella del “inserire tormentone dei fumetti: fatto”.
Il discorso vale soprattutto per il personaggio di Secco, nei fumetti notoriamente uno che risolverebbe tutto a botte e fortemente paranoico verso telecamere, cellulari e via dicendo, che nel film ha strascichi della sua personalità dei fumetti talmente gratuiti e piazzati a caso da farli sembrare esplosioni di bipolarismo, come la paura di essere spiati dalle telecamere riservata ad un breve dialogo, alla la gag – divertente, va detto – dello spray in faccia. Meno male che Pietro Castellitto è forte. Ma anche Simone Liberati, và.

Va detto che poteva essere un disastro epocale, potenzialmente anche trash, ma alla fine La profezia dell’armadillo se non viene paragonato ai fumetti è un onesto dramedy italiano, guardabile e neanche peggio di tanti altri film simili prodotti qui in Italia. Magari di buone intenzioni, ma per un film che necessitava di più di buone intenzioni. Prossimamente Zerocalcare sbarcherà su Netflix con una serie animata, forse un media più adatto per portare le sue opere ad un pubblico più vasto che un film live action. Tanto, vada come vada, per goderci il talento di Zerocalcare per fortuna avremo sempre i fumetti.