La bellezza sfuggente di Licorice Pizza
San Fernando Valley, 1973. Gary (Cooper Hoffman) e Alana (Alana Haim) si piacciono e lo capiscono subito. Lui ha 15 anni, lei 25 (a un certo punto ci viene addirittura suggerito che potrebbero essere 28), e questo ovviamente porta con sé delle problematiche: le pressioni che Alana subisce in famiglia sono troppe anche quando porta a casa un fidanzato presentabile, figurarsi un quindicenne. Nasce quindi un’amicizia, le cui fondamenta ci appaiono però subito chiare.
Alana non riesce a ignorare l’idea che arrivata alla sua età sia strano mischiarsi con i ragazzini, quindi fa di tutto per sminuire Gary, per fargli pesare il suo infantilismo, mentre lei è convinta di doversi affrancare da una vita senza scopo. Però Gary non le è indifferente: basta uno scambio di sguardi tra i due per capirlo, basta notare l’atteggiamento contraddittorio e infantile di entrambi. Un amore latente che non genera frustrazione nello spettatore, perché è proprio correndosi incontro per la maggior parte del film che Gary e Alana vivono le loro esperienze più imprevedibili e si rivelano di più al pubblico.

In questi due paragrafi ho cercato di analizzare i sentimenti che animano i personaggi di Licorice Pizza, un film in cui Paul Thomas Anderson dimostra di aver così affinato le sue tecniche da narratore che ci si sente quasi in colpa a “spiegarle”. In un momento storico in cui il buonismo, la melassa, in generale la grana grossa riescono a intaccare anche il più apparentemente “alternativo” dei prodotti hollywoodiani, è disintossicante vedere un film americano che racconta una storia d’amore senza scadere mai nel didascalismo, costruendo un mood, un’atmosfera e un mondo assolutamente avvolgenti.
Ogni immagine e ogni soluzione narrativa è così densa di “sottintesi” da suscitare una risposta emotiva molto personale e profonda. Licorice Pizza è il tipo di film a cui si ripensa giorni dopo la visione, realizzando quasi per caso il senso di sequenze che su due piedi magari ci erano sembrate inafferrabili. È un film che rifiuta con fermezza di spiegare a parole i sentimenti, che lavora sul non detto con soluzioni molto raffinate, crescendo inevitabilmente di visione in visione. Uno dei tocchi più belli è senz’altro il rapporto tra Gary e suo fratello minore, raccontato per lo più con i silenzi e gli sguardi di intesa, specie nella bellissima scena della telefonata muta tra Gary e Alana.

Come C’era una volta a… Hollywood – film al quale somiglia parecchio – Licorice Pizza utilizza il caso come mezzo. I più disincantati diranno che sono due film “scritti a caso”: pazienza. Quello che fanno entrambi è costruire uno sfondo “vivo”, che non si fa notare solo per la cura (maniacale) nella ricostruzione, ma che irrompe sempre nella vita dei personaggi inventati, che incontrano figure realmente esistite dando vita a sequenze “What If…?” particolarmente “libere” e ispirate: tanto nel confronto con William Jack Holden (uno Sean Penn che praticamente interpreta la caricatura di sé stesso) quanto in quello con Jon Peters (un Bradley Cooper mai così divertente) ci sono sia il meta che gli artifici narrativi che fanno montare la tensione – erotica e non – tra i due protagonisti, che lasciano emergere la loro vulnerabilità e i loro limiti.
I brani anni ’70 sono scelti con cura e gusto (Let Me Roll It di Paul McCartney, uno dei più bei pezzi di sempre, non poteva essere usato meglio) e rendono ancora più vero il mondo in cui abbiamo la fortuna di passare queste due ore magiche, preziose in un momento così sfortunato per il cinema.

La chimica tra Cooper Hoffman e Alana Haim è perfetta; entrambi sono intensi, carismatici e soprattutto “rinfrescanti”, diversi da qualunque cosa si trovi in sala (o in streaming) di questi tempi. Sono il simbolo della libertà di Licorice Pizza rispetto al cinema da cui è circondato, quasi sempre costruito intorno a nomi noti chiamati a interpretare lo stesso personaggio più o meno ogni volta: potrebbe non essere un caso, infatti, che le poche star del film (due: Bradley Cooper e Sean Penn) interpretino proprio due divi che incarnano tutta la follia stralunata di Hollywood, da fuori sicuramente divertente ma assolutamente un incubo da vivere, regalando al pubblico una visione totalmente dissacrante del glamour di stampo hollywoodiano.
Quando Alana pensa di doversi mischiare alle star del grande schermo per essere “adulta” scopre un mondo di chiacchiere assolutamente vuote, di egomaniaci senza nessuna sostanza; quando decide di abbracciare cause importanti, di “cambiare il mondo” capisce che c’è un’umanità tormentata e incerta come la sua anche dietro alla cornice più nobile, come nel caso del senatore per cui lavora. Il suo personaggio e quello di Gary – che è invece un businessman in erba – “subiscono” lo sfondo di cui parlavamo prima, uno sfondo in costante fermento che sembra volergli sempre dire cosa fare; l’unico momento in cui gli tengono testa è quando finalmente decidono di mettersi insieme. Il “lieto fine” c’è ma è momentaneo: entrambi rimangono personaggi ancora del tutto immaturi, da formare, e questa è l’ultima tra le tante scelte sagge e impopolari di Licorice Pizza.
Nominato a tre Oscar (film, regia, sceneggiatura), vinti zero. Meglio: di solito vengono premiati i film di cui poi ci si scorda.