Guida alla saga di Nightmare
Nel 1984, con Nightmare – Dal profondo della notte, il mondo conosceva per la prima volta l’icona horror moderna per eccellenza.
Freddy Krueger era un cattivo fresco, “nuovo” praticamente in tutto. Diversamente dai suoi colleghi mascherati sfoggiava infatti un corpo ustionato, il volto espressivo, sardonico e indemoniato di Robert Englund, ma soprattutto un’arma per uccidere più creativa di coltellacci, motoseghe e machete: il suo guanto provvisto di una lama per ogni dito.

Non era un ex bambino deforme (come Jason) né un ex bambino dissociato (come Michael Myers), ma un infanticida dato in pasto alle fiamme da una folla di genitori adirati, dato che il sistema che avrebbe dovuto condannarlo l’aveva prosciolto per un errore burocratico.
E allora Freddy diventava uno spirito vendicativo, compariva in sogno agli eredi dei suoi carnefici e li spaventava, si prendeva gioco di loro, poi li uccideva. Chi moriva in sogno moriva anche nella realtà.
A crearlo fu Wes Craven, uno dei maggiori geni horror della sua generazione. Craven era un uomo intelligente, profondo, con una storia personale come nessun altro autore votato allo stesso genere (la sua dura educazione battista gli impedì di vedere film che non fossero Disney fino ai 20 anni di età), e con un interesse per l’indagine sul terrore e i suoi meccanismi, una sensibilità diversa nel raccontare la paura.

Nightmare, per come la vedeva lui, tutto doveva essere meno che il primo tassello di un franchise. Impossibile infatti non accorgersi di quanto sia posticcia la scena finalissima del primo film, con l’incubo che – alla faccia di tutti gli sforzi della protagonista – torna più prepotente di prima. Per Craven quella di Nancy Thompson che combatte Fred Krueger era una fiaba nera che avrebbe dovuto esaurirsi una volta finito il percorso della sua eroina. Ma sappiamo tutti com’è andata.
Craven aveva ragione, ma siamo onesti: non è un male che Nightmare sia diventato un franchise. L’immaginario su cui si appoggiava il mostro offriva troppi spunti per idee sfiziose, e alla fine la serie con i suoi sette film (esclusi remake e spinoff) è tra le più amate tra gli appassionati.

Sappiamo come va con le saghe horror: di solito il film più solido e fresco è il primo, mentre dei successivi ci troviamo per lo più ad apprezzare le invenzioni (leggasi: gli omicidi). Con Nightmare è così ma non è così.
Tra alti e bassi la serie ha infatti una qualità che non perde mai per strada: la voglia di variare, di spingere le possibilità orrorifiche (o di intrattenimento) in direzioni differenti, di sfruttare le possibilità offerte dal mondo dei sogni. Non sono tutti film riusciti, ma quella di Freddy è tra le poche saghe infinite delle quali in una maratona non salteremmo nemmeno un capitolo.
Cominciamo con la nostra guida.
Nightmare – Dal profondo della notte (1984), di Wes Craven

Il primo capitolo della saga va vissuto come un’esperienza a sé, tenendo a mente che prima l’horror per teenager non aveva visto nulla di simile. Wes Craven ci racconta di Nancy Thompson (Heather Langenkamp), liceale la cui vita viene ribaltata nel giro di pochi giorni dopo l’omicidio brutale della sua migliore amica Tina (Amanda Wiss).
Poco prima di essere uccisa, Tina si lamentava dei suoi incubi troppo crudi, vividi e spaventosi. I suoi amici tendevano a minimizzare, ma era palese che anche loro avevano avuto esperienze simili. Dopo la morte dell’amica, Nancy verrà assalita dagli stessi incubi, inseguita dalla stessa minacciosa figura: Fred Krueger (che diventerà “Freddy” solo nei sequel). Mentre altre persone intorno a lei cominciano a morire, Nancy indaga e scopre la verità sul mostro, e cioè che a dare fuoco a Freddy sono stati, tra gli altri, i suoi genitori. Quel che le resta da fare è esorcizzare l’incubo, sconfiggere il mostro; le toccherà farlo da sola, raccogliendo tutte le sue forze.

Il primo Nightmare è un film che mostra i segni dell’età solo quando si tratta di effettacci visivi platealmente anni ’80 (penso a Freddy che si dissolve nell’aria dopo essere stato sconfitto), ma per il resto è cinema a basso costo dei più miracolosi: affascinante, ispirato, ricco di invenzioni e con un villain incisivo da subito, dal look all’interpretazione di Robert Englund.
Un film che azzecca così tanti elementi – oltre al mostro abbiamo colonna sonora, atmosfere, idee visive – da conquistare subito le masse, che ne vorranno sempre di più.

Craven è ispiratissimo e gira uno degli horror più originali e fulminanti degli anni ’80, uno di quei classici di cui praticamente quasi ogni scena è iconica (basti guardare l’immagine qui sopra) e con il quale lancia la New Line, che allora era una casa di distribuzione “emergente” che faticava ad affermarsi. Ormai la major in questione ha una bella storia e può vantare titoli importanti (Il signore degli anelli su tutti), e ancora oggi produce film di grande successo, ma per i suoi fondatori resterà sempre “The House that Freddy Built”. Ah, quasi ci stavamo dimenticando: fu anche il film che segnò l’esordio di Johnny Depp, protagonista della morte di gran lunga più memorabile.
Nightmare 2 – La rivincita (1985), di Jack Sholder

Il capitolo più odiato dai fan è un film sicuramente imperfetto, ma ha un fascino che gli viene riconosciuto poco.
Sui suoi sottotesti bisognerebbe scrivere un pezzo a parte, ma vi faccio un bignami: Nightmare 2 è un film apparentemente trascurabile, ma che assume un valore “inedito” come opera queer sotto mentite spoglie.
Nello specifico parla di omosessualità repressa, fatto che lo sceneggiatore David Chaskin ha negato fino a tempi recenti e che il protagonista Mark Patton, attore omosessuale la cui carriera è naufragata dopo il film, ha sempre rivendicato. Esiste un documentario su questa storia, Scream, Queen! My Nightmare On Elm Street, che vi consigliamo di recuperare.
Fatto sta che la particolarità di questo capitolo 2 sta nell’aver sostituito la proverbiale final girl con un final boy: famosa infatti la scena in cui Mark Patton di fronte a Freddy grida “come una femmina”; un momento ampiamente deriso da vari meme. In generale, lo sguardo di solito riservato alle protagoniste femminili tipiche del genere stavolta si posa sull’intimità di un ragazzo, raccontando tra le altre cose – in maniera puntualmente ambigua – la scoperta delle sue pulsioni.

Qui c’è l’idea che Freddy – che vuole sfruttare il corpo di Jessie come passaggio dal mondo dei sogni a quello reale – sia metafora dell’omosessualità latente, una forza repressa che lotta per uscire allo scoperto. Un’omosessualità demonizzata (letteralmente: è un mostro omicida che non vede l’ora di approdare nella quotidianità e seminare orrore), con la quale non scendere a patti ma anzi da sconfiggere.
Che gli autori fossero o meno progressisti nelle loro vedute, il loro sguardo va a posarsi sulle realtà queer (uno degli incubi di Jesse, il più esplicito, ha luogo in un leather bar), quindi il film ad oggi è un classico nelle comunità LGBTQ+, presentato a molti screening da Mark Patton stesso. È inoltre considerato “il primo film horror gay della storia”.

Rivisto con questo filtro assume un suo senso, mentre magari all’interno del franchise – che trova le sue regole dal terzo capitolo in poi – ne ha poco. Tolto l’aspetto queer, quel che rimane è un film a cui vanno almeno riconosciute delle belle atmosfere da incubo, sottolineate dalle musiche morbose di Christopher Young. Un capitolo di passaggio che fa storia a sé, che potreste anche saltare in una maratona ma che in caso contrario avrebbe comunque qualcosa da offrire.
Nightmare 3 – I guerrieri del sogno (1987), di Chuck Russell

Dopo un secondo capitolo poco incisivo, i produttori tornano a chiedere aiuto a Wes Craven. Lui e lo sceneggiatore Bruce Wagner lavorano a una storia folle e ambiziosa, ma la produzione la trova troppo delirante e potenzialmente costosissima, quindi chiama a bordo un allora giovanissimo Frank Darabont per riscriverla e renderla più lineare.
Il risultato è il film perfetto per lanciare il franchise alle stelle: avventuroso, creativo (un paio di morti sono da antologia), più ironico dei suoi due predecessori.
È infatti da qui che avrà inizio la fase del Freddy “giullare”, che uccide snocciolando battutacce. Una fase divisiva per il fandom, una cui fetta adora i suoi tormentoni (e qui c’è il più famoso, “Welcome to prime time, b*tch”), mentre l’altra è insofferente di fronte alla smitizzazione di una figura horror in partenza così spaventosa.

Di sicuro la sua svolta comica – spinta ancora più in là nei capitoli successivi – lo aiutò a consacrarsi come icona pop anni ’80, diventando tra le altre cose protagonista di videogiochi, fumetti, di una serie tv (Freddy’s Nightmares) e persino di un videoclip hip hop (Are You Ready for Freddy? dei Fat Boys, per il quarto film).
Per il resto, in Nightmare 3 troviamo il primo capitolo che voglia davvero sbizzarrirsi nell’esplorare il mondo dei sogni, sfruttandone l’infinito potenziale immaginifico e orrorifico. Abbiamo infatti alcuni degli omicidi più memorabili della saga (su tutti il ragazzo-marionetta) e una sceneggiatura sveglia, capace di diversificarlo parecchio dai due capitoli precedenti. Grandi effetti speciali pratici (con uno scontro al cimitero che rievoca Gli Argonauti).
Nightmare 4 – Il non risveglio (1988), di Renny Harlin

Le regole della saga le scrive e collauda con successo il terzo capitolo; il quarto le conferma con grinta.
Ancora più sicuro di sé, quindi più creativo, Nightmare 4 ha una premessa meno brillante, ma spicca per gli impressionanti effetti pratici, per gli scenari da incubo (bellissima la scena ambientata in pizzeria) e poi per le morti, tra le quali la più memorabile è senz’altro quella di una ragazza con la fobia degli scarafaggi (curata da Screaming Mad George).
Dirige Renny Harlin, futuro regista di studio movie di grande successo – da Die Hard 2 a Driven – al suo primo film grosso, e la grinta e l’entusiasmo di chi ha ancora tutto da dimostrare si sentono tutte, rendendo un sequel potenzialmente ripetitivo uno spettacolo concentrato, dinamico.

Pare che Harlin – allora uno scalcinato semi-esordiente – abbia fatto di tutto per ottenere l’ingaggio, perseguitando Robert Shaye, storico produttore della saga, che non lo voleva in quanto poco convinto che un regista finlandese potesse essere idoneo alla regia di uno studio movie americano.
Harlin era così disperato da presentarsi sotto gli studi della New Line tutti i giorni senza lavarsi per periodi lunghissimi, tanto che pare che Shaye alla fine abbia ceduto più per sfinimento che per altro. Ma ne valse la pena. Se lo chiedete a me, il migliore dopo il primo.
Nightmare 5 – Il mito (1989), di Stephen Hopkins

Non senza le sue (ottime) cose, il quinto capitolo è il primo a mostrare segni di cedimento. Il Freddy buffone è già un po’ troppo buffone, e anche il make-up – che nel quarto era forse al suo apice – sembra volerlo “ammorbidire”, renderlo più simpatico e gigione.
In compenso dirige Stephen Hopkins, regista australiano con un occhio notevole per le atmosfere gotiche, e il film ci guadagna in personalità.
Un paio di begli omicidi (uno in moto, uno durante una cena di gala) e dei bei momenti visivi lo riscattano, ma è il primo capitolo in cui si accusano cali di ritmo e di idee. Il preludio di una conclusione indegna.
Nightmare 6 – La fine (1991), di Rachel Talalay

A mani basse il peggiore della saga (il remake lo consideriamo a parte, ovviamente, sennò sarebbe quello). Freddy ormai è una macchietta, un buontempone che utilizza gimmick da cartone animato. La creatività c’è ancora, e a fronte di trovate dalla brutta resa visiva (il ragazzo ucciso dentro a un videogame) ce ne sono altre niente male (il ragazzo ucciso dal suo apparecchio acustico). L’impianto narrativo però è stanco, e si appoggia su un principio sbagliatissimo: quello di spiegare il come e il perché di Freddy; come faccia a popolare i sogni, a uccidere in essi.
Il mondo dei sogni offre infiniti spunti per mettere in scena dimensioni astratte, dense, e l’ultima cosa da fare è cercare di dargli delle regole. Questo film decide di farlo, oltre a mettere in piedi i preparativi per la morte “definitiva” di Freddy, che verrà ucciso da quella che si scoprirà essere sua figlia (…) in un segmento pensato e girato per essere proiettato in 3-D. Il setting, la regia e la modalità della morte in questione sono la cosa meno gloriosa a cui si possa pensare.
Un finale indegno per la saga, al quale porrà rimedio il creatore del personaggio qualche anno più tardi.
Nightmare – Nuovo incubo (1984), di Wes Craven

Se prima ho scritto che per me il quarto capitolo era il migliore dopo il primo, anni fa avrei scelto sicuramente questo. Del quarto oggi preferisco la creatività sfacciata, la potenza delle immagini; di questo accuso un po’ alcuni elementi a cui nell’infanzia badavo meno, dai cali di ritmo a un’assenza quasi totale di ironia, ma resta un film molto bello e di base parecchio interessante.
Wes Craven torna al timone per il vero gran finale, e mette il punto sulla sua creazione gridando la sua insofferenza verso i sequel che lui non avrebbe mai voluto si concretizzassero.

In Nuovo Incubo Freddy approda nel mondo reale e prende di mira l’interprete della Nancy del primo e del terzo capitolo, Heather Langenkamp, donna sposata e madre del piccolo Dylan (Miko Hughes, già bambino assatanato in Cimitero vivente). Freddy se la prende in particolare con il bambino, attratto morbosamente dal primo film della saga e chiamato a seguire Freddy nel mondo degli incubi. La sua salvezza – stranamente – è il suo dinosauro di peluche, Rex, che in qualche modo impedisce al mostro di prenderlo e di tirarlo a sé.
Se da una parte Craven torna alle origini rimarcando l’aspetto fiabesco, riflettendo su paure ancestrali, dall’altra mette su un’invettiva contro il concetto stesso di sequel, accusando direttamente i vari capitoli “non richiesti” della saga di aver fatto approdare la furia omicida di Freddy nel mondo reale; una furia che trova sbocchi proprio perché non è contenuta tra i confini di una singola storia, ma sfruttata senza pudore per film di spessore minore e che ne minimizzano – o peggio, ne travisano – il senso.

Un film genuino e potente ma di cui oggi noto di più i nei, tra cui un look “rinnovato” di Freddy purtroppo decisamente bruttarello. Nei momenti horror si riconosce la mano del maestro, e come conclusione “definitiva” è comunque difficile immaginare di meglio. Un altro colpo di genio di Craven.
BONUS TRACK: Il remake
Nightmare (2010), di Samuel Bayer

Ho rivisto questo remake a dieci anni di distanza dalla prima volta con il sogno segreto di rivalutarlo. Impossibile. Di buono ci sarebbe il fatto che – trattandosi di un horror che ha a che fare con i sogni – provi a essere un film visivo, trovando anche alcune soluzioni “moderne”, che in un film messo in piedi decentemente potevano avere il loro perché. Sicuramente c’entra il fatto che il regista Samuel Bayer venga dai videoclip, da cui la vaga sensibilità visiva, ma chiaramente non basta; anzi, spesso diventa un limite (non c’è una singola scena in cui si abbia l’impressione di guardare un film vero).
Non basta nemmeno avere nel cast un’attrice brava come Rooney Mara nel ruolo di Nancy e un attore bravo come Jackie Earle Haley in quello di Freddy, perché è proprio tutto l’impianto a non stare in piedi: il film vuole infatti concentrarsi di più sulle origini di Freddy, e lo fa dai primi minuti di proiezione, inquinando l’orrore con dei continui spiegoni, dando a Freddy scene inutilmente verbose in cui sottolinea il suo legame con i protagonisti e la ragione della sua vendetta.

A forza di rivelazioni non c’è mistero (e okay che del personaggio sappiamo già tutto, ma comunque…), quindi non c’è fascino e non c’è inquietudine. Non funziona come horror, non funziona come slasher per teenager per passare il tempo e non funziona come remake per le masse, che di sicuro non saranno uscite dalla sala con la voglia di vedere un sequel o di esplorare la saga originale. Stendiamo poi un velo pietoso sugli osceni effetti in CGI.
Carino però l’utilizzo di All I Have To Do Is Dream degli Everly Brothers, canzone capolavoro con cui chiudiamo anche noi questo articolo.