Batman – Il ritorno è un miracolo irripetibile
Prima di cominciare a parlare di Batman – Il ritorno vi invito a guardare il video qui sotto:
Lo avete fatto? Bene. Se non lo avete fatto non c’è problema, sono qui apposta: Batman – Il ritorno esce nelle sale americane il 19 giugno del 1992, ed è il blockbuster estivo più atteso dell’anno. I bambini muoiono dalla voglia di vederlo. Ci vanno. Molti di loro ne escono comprensibilmente turbati. Il marketing del film viene a quel punto accusato di essere fuorviante: perché i giocattoli? Perché gli happy meal da Mc Donald’s? Cos’è tutta questa spensieratezza se poi il film è così adulto, così violento, così dark?
In questa trasmissione – A Closer Look, condotta dalla giornalista Faith Daniels – vengono interpellati (non in ordine di apparizione, voglio tenermi il piatto forte per ultimo):
– un tizio che lavora per un’organizzazione che promuove intrattenimento per famiglie: indignato dai contenuti del film.
– una madre apprensiva e la sua adorabile figlioletta di 9 anni: quest’ultima si dichiara turbata dai contenuti del film, ma ripete chiaramente a pappagallo cose che le hanno detto di ripetere.
– un Junior Critic che “lavora” per USA Today. “Junior” nel senso che è letteralmente un bambino di 10 anni.

Il signorino afferma: “questo è un film che prende elementi che di solito i bambini amano – i clown, le paperelle di gomma (il pinguino guida un veicolo con quella forma, ndr) – e li usa contro di loro. È violento e spaventoso, e i bambini non dovrebbero vederlo”.
Oggi che grazie ai social abbiamo più familiarità con il puritanesimo all’americana in realtà questo video potrebbe non sorprendere granché, ma penso che guardarlo sia importante, perché è emblematico di quello che è stato Batman – Il ritorno, del perché non abbiamo più visto blockbuster supereroici che gli somigliassero anche alla lontana e perché in generale non li vedremo mai più.

Batman – Il ritorno è diretto come il primo capitolo della serie da Tim Burton, ed esiste perché quel primo capitolo fu un evento cinematografico gigantesco che incassò cifre importantissime: una scommessa vinta, dalla Warner che aveva assunto il semi esordiente Burton e da Burton che aveva voluto l’improbabile Michael Keaton come protagonista e il relativamente inesperto Danny Elfman come compositore. I tre definirono l’immaginario del Batman anni ’90 (anche l’importantissima serie animata recuperava il tema di Elfman e le atmosfere burtoniane), e un sequel era lecito aspettarselo, com’era comprensibile che la Warner volesse lo stesso team creativo a realizzarlo.
Dopo Batman Burton aveva girato Edward mani di forbice, un film più piccolo ma comunque un successo di critica e pubblico, e si stava facendo un nome come autore. Non gli interessava girare un sequel di Batman, perché il primo film – in cui comunque la sua mano si sentiva il giusto – era stata un’esperienza piena di compromessi. La Warner allora gli propose il seguente accordo: “ma perché non lo giri un po’ come ti pare questo Batman 2?”. Così fece. Il secondo Batman non era un film “più suo”, era suo e basta, dal primo all’ultimo fotogramma.

Con tutta quella libertà a disposizione era logico che l’idea fosse quella di fare un film migliore o quantomeno più ambizioso del primo.
Innanzitutto il cattivo non sarebbe stato più uno solo, ma ben tre: Il pinguino (Danny DeVito ), Catwoman (Michelle Pfeiffer) e il magnate Max Shreck (Christopher Walken). E questi tre personaggi non sarebbero stati solo una minaccia per l’eroe, ma il vero e proprio cuore del film.
La poetica
Penso che sul film avrete già letto le seguenti cose: 1) è un film sui freak, e Batman appartiene alla suddetta categoria almeno quanto i villain; 2) Burton ama i freak e ne parla con passione; 3) Batman – Il ritorno è un cinecomic d’autore. Tutto vero e tanto vale ribadirlo subito.
Burton scarta la sceneggiatura di Sam Hamm, che aveva scritto così bene il primo film, in favore di quella del Daniel Waters di Schegge di follia, più in sintonia con le sue ambizioni. Il lavoro di Waters è diviso tra satira (politica e di costume) e character study.

Bruce Wayne (Batman) e Selina Kyle (Catwoman) indossano maschere, e sono a proprio agio più con i rispettivi alter ego che con i loro nomi di battesimo, immersi loro malgrado nel vivere sociale. Anzi, in calzamaglia sono finalmente i veri sé stessi. Batman è il guardiano silenzioso di Gotham, ossessionato dal crimine perché è ciò che gli ha portato via i suoi genitori; Catwoman è pura rabbia animalesca, il risultato di anni di repressione nei panni di una segretaria emarginata, sola e in cui nessuno ha mai creduto.
Oswald Coblepott (Il pinguino) è un freak in piena regola, ripudiato dai suoi genitori per la sua deformità e cresciuto nelle fogne. Diventa un criminale a capo di una pericolosa gang, e il viscido magnate Max Shreck – sottoposto a ricatto dal Pinguino, che conosce i suoi loschi segreti – si offre di curarne l’immagine pubblica, di trasformarlo in un idolo delle folle, addirittura candidato al ruolo di sindaco.

La sua tragica storia – verissima – vorrebbe intenerire i cittadini di Gotham, e lo fa, e a quel punto diventa mero opportunismo. Fa comodo al potere (Shreck) per muovere consensi e fa comodo al crimine organizzato per distruggere la città dall’interno.
Che sia tragico o meno il suo background, come lo è quello della mite segretaria Selina Kyle – uccisa da Shreck e quindi anche lei “creata” da quest’ultimo –, è attraverso la malvagità che i due cercano la loro rivalsa: più calcolata (almeno all’inizio) quella del Pinguino, più primordiale quella di Catwoman.

Batman – che in questo film è poco più che uno spettatore, sempre defilato come piace dipingerlo a Burton – fiuta la fregatura del Pinguino immediatamente. I freak li riconosce al volo, sa cosa li anima, e sa che sotto alla facciata messa su da Shreck e Cobblepot c’è qualcosa. Da Catwoman – un suo doppio che ha scelto la via del male – invece è intrigato, e la tensione erotica tra i due è uno degli elementi più audaci (tra i tanti poco graditi dal pubblico dell’epoca) e memorabili del film.
Danny DeVito e Michelle Pfeiffer sono innamorati dei personaggi e pronti a sporcarsi le mani fino in fondo, regalando momenti di grande impatto (la nascita di Catwoman, tra i tanti).
A impressionare è soprattutto la Pfeiffer, che dà dimensione tanto alla controparte insicura che a quella violenta ed animalesca. Questo senza nulla togliere a un DeVito marcio, intenso e comico a seconda delle necessità.

In definitiva si tratta dei due villain più complessi, umani e disperati mai visti in un film tratto da un fumetto.
Il mondo e le atmosfere
Gotham City è qui ancora più sfaccettata e più stilizzata che nel primo film.
Le scenografie di Bo Welch sono – parole sue – “la caricatura di una città”. La Gotham City di Batman – Il ritorno prende l’idea di vecchia città americana (“marcia, corrotta, ma piena di personaggi e vita”, con echi soprattutto di New York City) e la fonde con l’architettura fascista, e il risultato visivamente è imponente e ammaliante. L’impressione è quella di trovarsi in un limbo atemporale, un mondo a parte.
Oltretutto questo “mondo” pone le basi per quella che sarà la mastodontica Gotham dei film di Joel Schumacher.

Il richiamo al cinema espressionista tedesco è fortissimo (il Max Schreck di Christopher Walken ruba il nome dall’attore protagonista del Nosferatu di Murnau), e supportato dai chiaroscuri della fotografia (magnifica) di Stefan Czapsky.
Anche il Natale gioca un ruolo fondamentale, con la sua vitalità quasi eccessiva contrapposta alla cupa disperazione del resto. Con la scusa delle festività Burton può mostrarci una città viva, sempre attiva e connessa con il suo lato emotivo, tanto da prendere a cuore la triste favola dell’uomo pinguino. E il fatto che una città così ricca e “addobbata” faccia da sfondo alla distruzione e al caos rende il tutto ancora più “da incubo”.

Il tocco definitivo lo danno le musiche di un Danny Elfman mai così in forma, che senza le pressioni produttive del primo film si lascia andare e realizza il suo lavoro migliore, di gran lunga il più ambizioso.
Lo score di Batman – Il ritorno avvolge, assale e riesce a essere davvero inquietante, accompagnando il dramma dei protagonisti dall’inizio alla fine, intensificandone la potenza.
Sì, Batman – Il ritorno è un cinecomic d’autore
Il film di Burton sconvolse le famiglie e la Warner volle un deciso cambio di rotta: ecco spiegato perché abbiamo avuto i gioiosi e giocosi Batman di Joel Schumacher (comunque adorabili, sia chiaro). Burton voleva persino tornare per un terzo film , ma la Warner lo incoraggiò a concentrarsi su qualcosa di più piccolo: un invito velato a farsi da parte. A quel punto comunque lui girò Ed Wood , quindi poco male.

Rivisto oggi, lontano dalle controversie, Batman – Il ritorno resta un film coraggiosissimo: un’opera capace di parlare di reietti, di relatività dell’innocenza e di dualismo in modo così onesto da prendersi il rischio di disturbare. Ci spinge a comprendere il male, cerca l’empatia senza sfociare nel patetico. Con il suo PG-13 è complesso e scomodo come Joker non è riuscito ad essere nemmeno con un vietato ai minori e l’intento dichiarato di essere un film “di rottura”, e questo la dice lunga su quanto Hollywood si guardi dal produrre di nuovo qualcosa di simile. Il miglior Batman-movie di sempre.